Unbranding mafia è un progetto di comunicazione realizzato da NABA, la Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano. L’evento di presentazione – svoltosi mercoledì 20 gennaio – è stato organizzato insieme al coordinamento di Libera Milano. È da qualche anno infatti che LIBERA, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie partecipa e incoraggia l’organizzazione di seminari, laboratori, momenti di formazione rivolti all’utenza universitaria (ma anche ai cittadini, naturalmente), in virtù di un protocollo (http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/9551) siglato con sette atenei milanesi. Non è questa nemmeno la prima volta che NABA si occupa di mafia. È infatti suo il manifesto che il Comune di Milano ha adottato per il Festival dei Beni Confiscati e realizzato nel 2011 nell’ambito del laboratorio congiunto di NABA e Facoltà di Scienze Politiche della Statale, “Immagini di mafia”.
L’evento Unbranding mafia appunto, rappresenta l’ultimo appuntamento della rassegna Mafie: ambiente e territorio – Seminari Interuniversitari 2016. Sei gruppi di studenti si sono avvicendati sul palco della grande aula dell’accademia per presentare le proprie campagne di comunicazione integrata. I giovani autori erano chiamati a capire “come il lavoro di comunicatore può diffondere immagini errate o stereotipate della mafia”, ha affermato la professoressa Patrizia Moschella, responsabile del progetto. “Siccome gli operatori della comunicazione non sono una categoria professionale implicata in indagini, tendiamo a credere che il problema non ci riguardi, ma sbagliamo”, ha aggiunto la Moschella. Il progetto sugli stereotipi del mafioso contemporaneo veicolati dai media serve pertanto a “alimentare un risveglio delle coscienze, andare contro l’ignoranza e a un male diffuso. Così si spiegano le nostre campagne: Gli stereotipi uccidono. Uccidi gli stereotipi”, ha precisato il professore NABA Piero Bagolini. Gli studenti hanno dovuto misurarsi con il problema che il fenomeno mafioso è un fenomeno complesso, insidioso, sfaccettato. Non facile. Qualunque semplificazione non confermata da dati di realtà rischia di confondere. Invece, come è solito ripetere don Ciotti, occorre distinguere per non confondere. Studiare, osservare, comprendere, porre a se stessi domande sul mondo, sull’ambiente in cui si vive, inteso come territorio ma anche come luogo di lavoro o settore professionale. È questo che hanno fatto gli autori dei progetti, coordinati dai propri docenti. Si sono documentati sul fenomeno mafioso, si sono sforzati di capire e poi hanno messo in moto la loro incredibile creatività per fare sintesi. Per comunicare, appunto.
“Il mafioso oggi non è più coppola e lupara. Il mafioso oggi, soprattutto quello che sta al nord (e dove se non dove ci sono tanti soldi?), gioca in borsa, è di casa nei palazzi della City, è poliglotta, ha studiato a Oxford (e se non lui i suoi figli), e vola in jet. Il mafioso oggi gira in doppiopetto”. Quante volte è stata fatta una simile narrazione del mafioso e della mafia? Quante volte è capitato di sentirla o di leggerla? Forse troppe. Coscienti di questo, gli studenti hanno cercato di restituire con i loro progetti un’immagine il più possibile corrispondente al vero, cimentandosi in lavori che hanno dato risalto a concetti importanti. La tensione alla ricerca della verità, allo svelamento della vera identità del mafioso oggi, è un aspetto che accomuna molti lavori. E pure la normalità della mafia è un tema che emerge in modo ricorrente: l’idea di non doversi immaginare solo automobili potenti e ville lussuose, e nemmeno moderni gangster ma uomini e donne normali, vestiti normalmente, che spesso e volentieri svolgono lavori comuni, perlopiù a bassa qualificazione tecnica, come la vendita di frutta e verdura o le pulizie.
La commissione chiamata a giudicare le campagne ha alla fine decretato i vincitori. Primo classificato il gruppo de “I cretini”, che ha presentato un progetto tutto giocato sulla declinazione creativa del concetto di cretino così come coniato da Nando dalla Chiesa nel libro La Convergenza (“il cretino farà spontaneamente, spesso in buona fede, ciò di cui la mafia ha bisogno”) al fine di smontare le false credenze più diffuse. I ragazzi si sono immaginati “una Giornata del Cretino e una Maratona del Cretino organizzate da Libera a cui un esercito di persone partecipi indossando una maglietta bianca da compilare con una frase a propria scelta, partendo dal testo Io sono cretino/a”, hanno spiegato. Un esempio? La scritta “Io sono cretino/a” viene modificata in “Io ero cretino/a perché credevo che le mafie fossero soltanto al Sud”. Le seconde classificate, invece, hanno curato un progetto dal titolo “Tu lavori per me”. Obiettivo della campagna è rendere edotti pubblicitari e opinione pubblica che molti comportamenti adottati anche inconsapevolmente fanno il gioco delle organizzazioni mafiose. Se questi comportamenti diventano collettivi e iniziano a circolare velocemente quanto velocemente circola il denaro, prende forma una sorta di circolo vizioso dell’illegalità. Non a caso le ragazze hanno scelto una banconota come oggetto (molto simbolico) da diffondere e a cui affidare alcuni messaggi su temi o business importanti come le discoteche e il gioco d’azzardo (esempio: “Quello criminale è un gioco pericoloso”). Infine, terzo classificato, il gruppo della campagna “Tanto non cambia niente”. Un solo narratore ha esposto, come recitando, il senso del lavoro. Il tema chiave è il seguente e, ad avviso di chi scrive, coglie in pieno il pericoloso senso di sfiducia, di disincanto, di rassegnazione di cui questi tempi sono specchio e riproduttori: qualunque cosa si dica o si faccia, “Tanto non cambia niente”. Ma è la chiosa l’elemento imprevisto e perturbante: “se prima non cambi tu”. Tanto non cambia niente, se prima non cambi tu.
per Narcomafie