Quando il 29 dicembre 1988 termina, dopo più di 8 anni e 1,5 milioni di morti, il conflitto tra Iran e Iraq, quello che si chiude non è un anno dal “bilancio” positivo. E il bilancio resta negativo sebbene il 1988 sia anche l’anno in cui Nelson Mandela esce di prigione per la prima volta dal 1964, anche se solo per essere ricoverato in ospedale, e in cui viene proclamato il “cessate il fuoco” in Nicaragua dal presidente Daniel Ortega.
Infatti già a livello internazionale vede lo svolgersi di fatti sanguinosi, come la deposizione del presidente Eric Arturo Delvalle da parte del generale Manuel Noriega a Panama in febbraio e la strage di Halabja, in Iraq, a marzo, dove il regime iracheno stermina migliaia di curdi facendo uso di armi chimiche.
In Italia l’11 luglio, dopo quasi otto anni di udienze, viene emessa la sentenza per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, in cui sono condannati gli esecutori, ma in cui non si evidenzia alcuna luce sui mandanti.
Però il terrorismo è ancora presente, tanto in Alto Adige, dove si verifica più di un attentato, quanto da parte delle Brigate Rosse, che a Forlì, il 16 aprile, assassinano Roberto Ruffilli, politico ed esperto di questioni istituzionali.
Anche l’Anonima Sequestri non manca di perpetrare la propria brutale azione; su cui si staglia, subito ad inizio anno, il 18 gennaio, il rapimento – a Pavia – di Cesare Casella, figlio del proprietario di un concessionario di automobili. Sarà rilasciato solo 2 anni dopo, grazie all’impegno della madre Angiolina Montagna (soprannominata poi “mamma coraggio”, in quanto andrà in Calabria a chiedere nelle piazze la liberazione del figlio e un maggior intervento da parte dello Stato) e nonostante l’immediato pagamento di un riscatto.
La ‘ndrangheta calabrese è però ancora un’organizzazione criminale di secondo piano, tanto per la Commissione parlamentare antimafia costituita in marzo e presieduta da Gerardo Chiaromonte, quanto per le forze dell’ordine, che il 31 marzo stilano più di 300 mandati di cattura fra Napoli, Palermo e New York, nell’ambito della nota indagine congiunta fra Fbi e polizia italiana denominata “Pizza Connection”, sul traffico di droga fra Stati Uniti e Sicilia.
Ma i riferimenti cronologici a Cosa Nostra in quell’anno non si limitano a questo. I delitti di stampo mafioso sono un “fil rouge” che attraversa l’anno, dall’inizio alla fine.
In particolare, a cadere sotto i colpi dei killer, il 12 gennaio, è Giuseppe Insalaco, ex sindaco della città di Palermo nel 1984. Insalaco ricoprì questo ruolo per soli 3 mesi, poiché aveva denunciato a più riprese le collusioni fra la politica del capoluogo e i boss, indicando in particolare Vito Ciancimino e il suo entourage come gestori dei grandi appalti per conto della cupola mafiosa. Questo gli costò una serie di pressioni e minacce, compresa l’esplosione dell’automobile di fronte casa.
Viene assassinato in auto, a colpi di pistola, poiché testimone importante per diverse indagini, condotte anche dal giudice Giovanni Falcone, date le sue profonde conoscenze e la sua memoria storica dei rapporti tra mafia e politica.
Due giorni dopo viene ucciso Natale Mondo, elemento di spicco del corpo della Squadra Mobile di Palermo di Ninni Cassarà, di cui fu autista e guardia del corpo, scampando per poco all’attentato in cui venne ucciso il suo superiore. Viene assassinato di fronte al negozio di giocattoli della moglie nel quartiere Arenella, ove era nato e risiedeva. Sebbene i moventi dell’omicidio non siano ufficiali, questi potrebbero risiedere nel fatto che Mondo, dopo che fu accusato e arrestato per essere un corrotto e aver fornito alla mafia informazioni sugli spostamenti del vicequestore, venne scagionato grazie alle testimonianze della vedova di Cassarà e di altri colleghi che rivelarono che Mondo era in realtà un infiltrato del vice capo della mobile tra le cosche della sua borgata. E questo gli costò caro.
Dopo gennaio, è settembre ad essere un mese tinto di rosso. In due giorni successivi, il 25 ed il 26, cadono sotto i colpi di Cosa Nostra sia il giudice Antonino Saetta, ucciso insieme al figlio Stefano sulla statale che collega Agrigento a Caltanissetta, sia il giornalista e sociologo Mauro Rostagno.
Il primo è assassinato per aver condotto con fermezza i processi sulla strage che uccise Rocco Chinnici, fondatore del “pool antimafia” di Palermo, che vedeva imputati in primo luogo i Greco di Ciaculli e sull’omicidio del capitano Basile, rendendo vane le forti pressioni mafiose. Inoltre i vertici di Cosa Nostra, con l’uccisione di Saetta, ritengono di intimidire gli altri magistrati giudicanti impegnati in altri processi di mafia e, soprattutto, di impedire che lo stesso giudice sia nominato, essendo cosa probabile, a presiedere il processo di appello di quello che era stato chiamato Maxiprocesso.
Il secondo invece viene ucciso in un agguato in contrada Lenzi, a Valderice (Trapani), da alcuni uomini nascosti ai margini della strada, mentre rientra con la sua Fiat Duna Ds bianca alla comunità Saman, di cui era stato fondatore, con una collega (che si salva, divenendo l’unica testimone del delitto). I sicari mafiosi gli sparano con un fucile a pompa calibro 12 e una pistola calibro 38.
Dalla metà degli anni ottanta, Rostagno lavorava infatti come giornalista e conduttore per l’emittente televisiva locale Radio Tele Cine (Rtc), distinguendosi per il suo impegno di indagine e denuncia contro i vertici di Cosa Nostra e intervistando figure del calibro di Paolo Borsellino e di Leonardo Sciascia.
Attraverso la tv denuncia le collusioni tra mafia e politica locale. Tra i molti servizi giornalistici sul fenomeno mafioso, la trasmissione di Rostagno seguiva tutte le udienze del processo per l’omicidio di Vito Lipari, ex sindaco di Castelvetrano ucciso il 13 agosto 1980, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola di Catania e Mariano Agate di Mazara del Vallo, che peraltro lo minacciò di «dire meno minchiate» sul suo conto.
Il movente dell’omicidio di Mauro sarebbe quindi da ricondurre all’attività giornalistica, destabilizzante della quiete criminale che Rostagno conduceva dagli schermi dell’emittente televisiva.
Un politico, un poliziotto, un giudice, un giornalista. Le categorie di vittime predilette da Cosa Nostra. Quelle categorie che, se lavorano con dedizione e impegno, sono una spina nel fianco per ogni organizzazione criminale, perché possono intaccare e dissestare quell’humus di omertà e insicurezza su cui si fonda e spadroneggia il potere mafioso. Facendo sentire la presenza rassicurante e solida dello Stato o smascherando il vero volto della mafia. Un compito in cui troppe volte – soprattutto in quegli anni e in quelli che verranno poi – coloro che agiscono rettamente hanno rischiato e perso la vita.