Un anno spartiacque. Il 1989 ha segnato la storia del Novecento globale. Il mondo cambia letteralmente volto. La caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre, produce conseguenze politiche, economiche e sociali in tutto il pianeta. Tuttavia, non accadde tutto in una notte. Al contrario, è un processo lungo, di erosione e disgregazione interna graduale del sistema politico sovietico, che dopo numerosi focolai di rivolta soffocati nel sangue (dalla crisi di Budapest alla primavera di Praga) ha il suo apice nella caduta del muro che divideva la città tedesca dal 1961.
A partire dal gennaio 1989, i segnali di disfacimento e di strenua difesa del regime sovietico sono chiari. Durante la commemorazione della morte di Jan Palach, giovane simbolo della resistenza anti-sovietica che si diede fuoco in piazza San Venceslao nel 1968, vengono arrestati centinaia di manifestanti, tra i quali anche il primo presidente della Repubblica Ceca (post Unione Sovietica) Vaclav Havel. Il 15 febbraio l’esercito sovietico si ritira dall’Afghanistan, occupato militarmente dieci anni prima. In aprile viene riconosciuto ufficialmente il sindacato polacco Solidarnosc, fondato nel 1980 e guidato inizialmente da Lech Wałęsa. A Pechino, inoltre, cominciano il 18 aprile le proteste studentesche in Piazza Tienanmen.
È un anno, il 1989, ricco di sconvolgimenti internazionali. Mentre le manifestazioni studentesche in Cina vengono represse nel sangue, in Ungheria si apre la frontiera con l’Austria, creando il primo varco della Cortina di ferro e permettendo la fuga dalla Ddr (Repubblica Democratica Tedesca, comunemente chiamata Germania Est) di molti suoi abitanti. A novembre, una escalation di pochi giorni, cominciata con la concessione ai rifugiati nelle ambasciate della Germania Ovest di Praga e Varsavia di trasferirsi nella Repubblica Federale, porta alla caduta del Muro di Berlino, festeggiata il 10 novembre con un grande concerto dei Pink Floyd.
Ma il 1989 è un anno rilevante anche nello scacchiere italiano, sotto il profilo politico, criminale e giudiziario. A tal proposito, il 20 febbraio, a Catanzaro, si conclude il terzo processo per la strage di Piazza Fontana: assolti gli imputati (Stefano Delle Chiaie e Massimiliano Fachini) per non aver commesso il fatto. La storia si ripete un mese più tardi con l’assoluzione di tutti gli imputati per un’altra strage, quella di Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974. I fatti più eclatanti si verificano tra le dimissioni del governo De Mita (19 maggio) e il giuramento del sesto governo Andreotti (23 luglio), pentapartito composto da Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli.
Il 12 giugno, Angela Casella, madre di Cesare Casella, ragazzo pavese rapito da diciassette mesi dall’Anonima Sequestri calabrese, si incatena nella piazza di Locri per denunciare l’incapacità dello Stato nel combattere la criminalità organizzata. La ‘ndrangheta , infatti, in quel periodo getta le basi della sua trasformazione e notevole espansione, approfittando soprattutto del cono d’ombra generato dal maxi processo palermitano contro Cosa nostra. Mentre gli esponenti di spicco della mafia siciliana sono ad un passo dall’essere condannati definitivamente dallo Stato italiano, le ‘ndrine calabresi controllano i territori, gestiscono in modo monopolistico il traffico di cocaina e riciclano il denaro acquistando beni immobili e attività commerciali, cominciando progressivamente a scalare le gerarchie criminali nazionali e internazionali.
Tuttavia, il 1989 è l’anno del fallito attentato a Giovanni Falcone e dell’inizio di alcune missive inquietanti sempre ai danni del giudice palermitano, provenienti dall’interno della Procura. È il 21 giugno quando cinquantotto candelotti di dinamite vengono rinvenuti sulla scogliera ai piedi della villa all’Addaura di Giovanni Falcone. Il borsone viene trovato per caso da un agente della scorta; la bomba viene disinnescata e l’attentato fallisce. Falcone parlò di “menti raffinatissime” dietro al fallito attentato e alle continue lettere diffamatorie anonime, dette lettere del “corvo” ed inviate a vari rappresentanti delle istituzioni. L’accusa contro il giudice palermitano è di aver volontariamente fatto rientrare in Italia il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno, esponente di spicco della cosiddetta “mafia perdente” (nella guerra di Cosa nostra che ha portato all’egemonia dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano), al fine di uccidere alcuni membri della “mafia vincente”. Un clima inquietante, che prosegue nonostante la nomina di Giovanni Falcone a procuratore aggiunto di Palermo, per diretto interessamento dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Il 5 agosto, infine, la vicenda più drammatica. Quel giorno un ragazzo non ancora trentenne, Antonino Agostino (detto Nino), e la giovane moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi, si trovano davanti alla villa di famiglia per partecipare al compleanno della sorella di Nino. In quell’istante vengono trivellati di colpi da due sicari in motocicletta sotto gli occhi dei genitori Vincenzo ed Augusta. Chi è stato? Perché? Questi quesiti, purtroppo, a distanza di quasi ventotto anni non hanno ancora ricevuto una risposta. Secondo ipotesi investigative, Nino Agostino avrebbe avuto un ruolo importante nello sventare l’attentato a Falcone presso la villa all’Addaura il 21 giugno 1989. Il giovane poliziotto, inoltre, avrebbe lavorato per i servizi segreti sotto copertura.
Da quel giorno un uomo, Vincenzo Agostino, padre di Nino, “ha percorso qualsiasi strada pur di ottenere giustizia da quello Stato per il quale suo figlio Nino ha consapevolmente sacrificato la vita”, promettendo di non tagliarsi più la propria barba bianca fino a quando non otterrà quello che gli spetta.
La verità. “Nient’altro che la verità”.