Una voce di libertà in Messico. Così Nando dalla Chiesa ha presentato Anabel Hernández, giornalista che da anni denuncia la tragica situazione messicana, durante l’incontro organizzato dall’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata e da Libera all’Università degli Studi di Milano ieri pomeriggio. Una conferenza che si inserisce all’interno di un ciclo di eventi dedicati al tema messicano, un impegno civile dell’Università unico nel panorama italiano, approfondito ulteriormente ogni anno durante il corso di perfezionamento post-laurea in Scenari Internazionali della Criminalità Organizzata e nel corso di laurea in Organizzazioni Criminali Globali.
Quella che Anabel Hernández ha raccontato è la fotografia di un Messico che ha già le sembianze di un “narco-stato”, controllato dai cartelli della droga e con un governo permeato dalla corruzione. Una degenerazione politica che la giornalista ha denunciato più volte, mostrandoci storicamente come questo processo si è delineato. Dagli anni ’70 ad oggi, infatti, molta della responsabilità è da attribuire alla volontà statunitense di combattere il comunismo nel proprio “giardino di casa”, il Centro e il Sudamerica. Come accertato da numerosi documenti e procedimenti giudiziari passati, è acclarato che la CIA si sia accordata segretamente con i cartelli colombiani e messicani. Come ha approfondito Thomas Aureliani, collaboratore di Cross ed esperto di criminalità organizzata messicana, carichi di cocaina viaggiavano indisturbati verso gli Stati Uniti in cambio di armi e finanziamenti ai contras del Nicaragua che avevano il preciso scopo di sovvertire il governo filocomunista. Il 1984 rappresentò inoltre uno spartiacque importante per la chiusura delle rotte caraibiche che venivano utilizzate per il traffico di stupefacenti. Il Messico diventò così il crocevia obbligato dei traffici illegali di stupefacenti, incrementando la ricchezza delle organizzazioni criminali che già trafficavano a livello locale.
Da quel momento in poi lo Stato non riuscì più a controllare e a trattenere sotto la propria ala protettrice i narcotrafficanti, che iniziarono a contaminare politica, istituzioni ed economia. Un processo di rimozione, come lo definisce Nando dalla Chiesa, che ha portato inizialmente il governo messicano a tollerare la situazione perché convinto che la droga non venisse smerciata in Messico, illuso che i problemi non avrebbero riguardato il proprio paese. A beneficiare di questa condizione sono stati i cartelli, come quello di Sinaloa, guidato da El Chapo: un criminale in grado di tenere nelle proprie mani due Stati, Messico e Stati Uniti. Così come spiegato dalla Hernández, stiamo parlando di un uomo con 36 anni di carriera criminale, che ha acquisito un enorme potere e gode di una vasta protezione. Arrestato per la terza volta dopo due evasioni, ancora non è stato estradato, nonostante le pressioni americane. Una vicenda che potrebbe cambiare completamente la situazione messicana secondo la Hernández, proprio perché “se El Chapo Guzmán parlasse, cadrebbe il governo”. Cambierebbero relazioni tra Stati, verrebbe meno l’impunità che fino ad oggi ha riguardato politici, funzionari, forze della polizia, non solo messicane.
Il Messico oggi è in ginocchio. La grave situazione che sta vivendo la società messicana è stata più volte denunciata anche dai familiari delle vittime di migliaia di uomini e donne, così come per i tanti familiari che attendono ancora la verità sui loro desaparecidos. La vicenda dei 43 studenti di Ayotzinapa, che oggi la Hernandez sta indagando quotidianamente, ha mostrato al mondo il livello di penetrazione del narcotraffico in tutti gli organi di polizia. Si è trattato, come lei lo ha definito, di un massacro di Stato. Nonostante l’attenzione che sempre di più viene data al problema messicano, non vi è ancora stata una risposta internazionale. Secondo la Hernández, la comunità internazionale nei confronti della crisi umanitaria messicana non ha nessun interesse ad intervenire, non riveste nessun ruolo. Il denaro prodotto dal narcotraffico è ovunque, arriva in ogni luogo. Così come la legalizzazione della droga per combattere i cartelli è da lei considerata una posizione ipocrita: “Il modo per combattere veramente i cartelli è confiscare il capitale economico dei cartelli in tutto il mondo. Non viene fatto perché questo denaro muove l’economia di tutto il mondo. Si continua a pensare che questo sia un problema messicano, quando è evidente che si tratta di un problema globale. Noi abbiamo i morti, l’Europa il consumo. E’ un elefante bianco di cocaina che si espande ogni giorno. Il mercato vince, il mercato continua a chiedere. E dove c’è la droga, c’è corruzione”.
È in questo panorama che il giornalismo investigativo e di denuncia diventa una missione, in una terra in cui già molti giornalisti sono stati uccisi per il loro lavoro. Uccisi non solo dai cartelli della droga. Spesso, infatti, i più grandi attacchi ai giornalisti arrivano proprio dal governo. Un governo che Hernández ha definito corrotto, bugiardo, assassino, ladro, colluso con i cartelli, teso a seminare il terrore per evitare che emerga la verità. Un’informazione che in Messico è manipolata, falsa, minacciata. I giornalisti hanno paura, è pericoloso per loro anche solo rimanere nel territorio. Così è successo anche alla Hernández, che è stata costretta a trasferirsi negli Stati Uniti per continuare il suo lavoro sul Messico, dove comunque torna due volte al mese.
Quelle che la giornalista denuncia sono violenze, torture, intimidazioni per avere silenzio, per rendere la società incapace di accedere alle informazioni e alla verità. Poiché la verità è la posta in gioco, l’unica arma a disposizione per cambiare le cose in Messico. La forza della verità, contro i regimi, i sistemi corrotti, la violenza. La ricerca costante della verità da parte dei messicani, che deve diventare un obiettivo anche internazionale: “non credo in un leader politico che possa cambiare le cose, la politica è troppo contaminata. Un uomo o una donna onesta non potrebbe sopravvivere. Credo che ciò che salverà il Messico sarà la gente che dice basta. E questo traguardo si può raggiungere solamente con la ricerca continua della verità. E’ la verità che cambia le cose. Nessuno può comprendere il dolore che stiamo passando. Io ho fede nella verità, perché rappresenta la miccia in grado di accendere un fuoco. Perché nessuno in Messico è felice. La legna c’è, la benzina anche. Sono lì. Manca la miccia che accenda il fuoco. Il governo questo lo sa, ed è per questo che contiene e controlla in modo perverso la situazione. Oggi, secondo me, c’è abbastanza cultura in Messico per questa rivoluzione”.