di A. R.
Difficile alzarsi. Tutti i giorni. Cercare un obbiettivo, una finalità, un entusiasmo, un colore da dare alla vita. È difficile alzarsi tutte le mattine in questo paese, che in meno di cinque mesi si è trasformato in un territorio sconosciuto per di più ostile.
Da dicembre vago nella landa desolata della disoccupazione. Il mio contratto con il ministero terminava a fine anno. Era logico che non me lo rinnovassero. Ogni governo assume i suoi assessori, consulenti e tecnici di fiducia. Io non potevo esserlo. Lo davo per scontato date le divergenze irriconciliabili. Quello che non davo per scontato era l’essere accompagnata da migliaia di persone, funzionari di larga data, personale di programmi statali nuovi di inclusione di settori sociali mai presi in considerazione, anzi disprezzati, programmi di ricerca portati avanti da professionisti, scienziati, rimpatriati dopo un lungo esilio economico dovuto alla grave crisi che esplose nel 2001, con la gente in strada, casseruole in mano, polizia in assetto di guerra, i morti e un elicottero che si portava via un presidente, Fernando De la Rúa.
Persone che hanno perso il lavoro per esprimere simpatia al governo uscente, spiate attraverso Facebook, denigrate con epiteti dispregiativi. Persone, molte delle quali non hanno ricevuto i doverosi e dolorosi telegrammi che annunciano la rescissione del contratto, ma che si ritrovano con la polizia all’entrata degli uffici che li blocca o li blocca la luce rossa della credenziale che non attiva più i mulinelli, perché “lei signore, signora, sa, non lavora più qui”.
A tutti loro si sommano i nuovi disoccupati delle aziende e fabbriche e industrie piccole, medie e grandi, uffici, ristoranti, hotel, supermercati e negozi. Uccisi tutti dalla svalutazione, dall’apertura senza limiti delle importazioni. Il totale degli impiegati statali e privati messi in strada, fino adesso, è di 150.000. 150.000 famiglie senza sostegno o con gravi problemi di sussistenza. Si parla di 1.000 licenziamenti al giorno. Una cifra record per qualsiasi paese e il numero continua ad aumentare, grazie al circolo vizioso che si è inaugurato a partire del 10 dicembre del 2015, giorno dell’assunzione del nuovo presidente, Maurizio Macri: senza lavoro-poco consumo, poco consumo-disminuzione della produzione locale-aumento dei licenziamenti- disminuzione del consumo, ecc. E non è finita qua. Le proiezioni indicano che nel 2017 ci sarà un milione di nuovi disoccupati in più.
E poi il chiamato “sinceramiento” (viene da rendere sinceri) delle tariffe e dei prezzi qualificati come inconcepibilmente bassi. In cinque mesi quattro aumenti della benzina, aumento dei trasporti e dei prezzi di tutte le merci. E da un giorno all’altro la luce, il gas, l’acqua sono diventati oro, argento e diamanti. Gli aumenti vanno dal 100 al 700%. Il gas addirittura è aumentato del 1000%, ed è il più caro del mondo. Lo si importava dalla Bolivia, ma il nuovo ministro dell’energia, Juan Aranguren, preferisce quello che viene dal Cile, che è molto più caro, dato che i cileni a sua volta lo ricevono da altri paesi. Chi lo importa nella quasi totalità oh casualità è la Shell, della quale il signor Aranguren è azionista per 13 milioni di pesos ed è stato manager del colosso petrolifero prima di accedere all’incarico ministeriale. Ma non importa se il signor ministro contravviene la legge sulla incompatibilità di interessi e funzioni, la correttezza non è precisamente la grande preoccupazione di questo governo. Basta dare un’occhiata ai famosi “Panama papers” o a altre indagini, che puntano su stretti collaboratori del presidente e sul presidente stesso che ha interessi in undici aziende offshore, naturalmente tutte legali, ma come ben si sa, perfetto strumento di evasioni fiscali in questo caso ai danni dello stato argentino.
Il “sinceramiento” mette a dura prova tutti i settori dell’economia e della società, meno il finanziario, il grande privilegiato delle misure economiche. Non c’è settore infatti che resista agli aumenti. Non resistono le industrie, le università, non resistono gli ospedali pubblici, non resistono i club dei quartieri, così importanti per allontanare i ragazzi dalla strada, dal non fare niente, dando loro uno spazio di ricreazione, di stare insieme lontani da certi circuiti attraenti, ma pericolosi, como quello della droga o in casi estremi, della delinquenza.
Per molti, troppi, gli aumenti sono insostenibili. Addio di molte famiglie umili all’ascenso sociale, addio ad essere per la prima volta classe media emersa in questi ultimi anni grazie alla attivazione dell’ industriale nazionale e in parte ai sussidi e ai programmi, oggi immericordiosamente cancellati, quei programmi che si proponevano se non di eliminare, almeno attenuare le differenze. Che non ci fossero più cittadini di prima e di seconda, o “i poveri e i normali” secondo la illuminata definizione della attuale vicepresidentessa, Gabriela Michetti.
Programmi che rimarranno nel ricordo di coloro che la memoria nonostante tutto non la perdono, la pensione alle casalinghe, la pensione per quelli che hanno lavorato una vita in nero grazie a “padroni” senza il minimo scrupolo. E soprattutto addio al sogno della casa con crediti a bassissima quota di interesse, assegnati da un programma dello stato, e per alcuni o molti, ancora non si sa, addio alla casa della quale non si possono più pagare le quote mensili o l’affitto. E addio all’università di un ceto umile che per la prima volta popolava facoltà dalle umanistiche alle scientifiche.
E addio per molti, troppi, al potersi sedere a tavola a colazione, a pranzo e a cena. Mangiare per molte famiglie è diventato un problema. I genitori dei quartieri umili chiedono alle scuole di organizzare le mense per gli alunni, perché a casa non c’è niente per sfamarli. Le mense delle organizzazioni sociali e della chiesa hanno visto aumentare le persone che vi accudono di sera per cena, per non andare a dormire con lo stomaco vuoto, vuoto da quando si sono svegliate. Per non rimandare indietro nessuno, i pasti “si stirano”, in ogni piatto si mette un poco meno di quello che prima si serviva. E molte mense non sanno come andare avanti, perché la carne ha prezzi internazionali altissimi in dollari, in un paese che è esportatore di carne bovina, ma che non è più obbligato dallo stato a coprire il mercato locale. “La carne è una merce preziosa che deve essere venduta all’estero”, ci dicono, e che “la popolazione mangi pollo e maiale, se vuole carne”. E non è solo la carne ad essere rincarata. Verdura e frutta hanno subito aumenti in alcuni casi di più del 100%. Il latte per i bambini ha un prezzo per molti proibitivo. Però sì, si potrà bere champagne perché il governo ne ha ridotto la tassa. Al latte no, allo champagne sì.
Come vivremo tutti con una inflazione che è arrivata quasi al 40%? E con i salari e stipendi che non ricevono aumenti adeguati molte volte accettati perché se non sei d’accordo c’è il licenziamento in porta?
La povertà avanza a passi giganteschi. Lo dice l’università cattolica. Era diminuita, su una popolazione di 43 milioni di abitanti, 11.500.000 erano poveri. In soli tre mesi del nuovo governo si sono aggiunti 1.400.000 nuovi poveri. Si suppone che nel 2017 ci saranno 4.000.000 di poveri in più.
Molti di coloro che votarono per la rivoluzione dell’allegria simbolizzata da palloncini gialli e musichetta alla moda e passettini di ballo, che votarono per un presidente, che aveva promesso che non avrebbe abbandonato la popolazione, che avrebbe mantenuto quanto di buono aveva fatto il governo anteriore, che annunciava “pobreza zero” (povertà zero), molti di loro che non erano tutti di classe alta -che chiaramente si riconosce nel credo neoliberale propugnado e applicato senza anestesia dall’attuale governo e che costituisce solo il 5% della popolazione- non sono stati coscienti di quello che sarebbe successo e succede. Non lo sono stati o non hanno voluto esserlo o non lo sono. Molti hanno creduto alle promesse, che ormai appartengono al mondo della fantasia. Molti ancora pensano che bisogna dar tempo al nuovo governo per vedere i frutti promissori della nuova politica, che si vedrebbero a giugno, ma poi, non si sa bene perché, sono slittati a fine anno.
Troppi credono alle notizie e alle verità fasulle, alla realtà distorta presentata dai canali e dalle radio che sono parte di pochissimi mass-media concentrati, con offshore in paradisi fiscali, che hanno costruito la propria fortuna durante l’epoca della dittatura militare privando i legittimi proprietari, mediante sequestro, tortura e morte, dell’industria cartiera che riforniva la stampa.
Le voci alternative sono in via di estinzione. Giornalisti licenziati, alcuni minacciati od osteggiati, programmi tolti, pubblicità data solo ai mass-media del potere, il silenzio imposto. Le notizie senza analisi, la vacuità al posto della cultura. E guai se ti azzardi ad avere un’opinione non dico contraria, ma critica. Ti ritrovi addosso nemici ed anche amici. Il tutto condito dalla pseudo-convinzione che adesso sì si può parlare, adesso sì che le voci sono plurali e pluraliste, mentre prima… Mentre prima si poteva parlare e sparlare del governo, della política, dei ministri, dei funzionari senza riserve. Lo si faceva per strada, alla radio, alla televisione, sui giornali. Oggi no, la voce deve essere unica, quello che si promuove è un pensiero a una direzione, a una dimensione. La legge sulla pluralità delle voci è stata ritagliata dal parlamento. I deputati e senatori che l’avevano unanimente approvata nel 2009, salvo contate eccezioni, dopo un lunghissimo iter con la partecipazione di tutti i settori sociali, accademici e politici, si sono rimangiati la decisione, la parola e l’onorabilità. Si sono depennati articoli, come depennata è stata in questo caso la libertà d’espressione, ciò che ha valso una condanna da parte della Organizzacione degli stati americani, OSA, all’Argentina.
Ma è un paese che è ritornato al primo mondo. Così ci dicono. Il presidente è entrato nella galleria delle cento personalità più influenti del pianeta, insieme al papa Francesco e alla regina d’Olanda, pure lei argentina. Lo dice e scrive sul Times il signor Paul Singer, di nazionalità americana propietario di un holdout, che ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente, e che si sta intascando in questo preciso momento un debito con una tassa astronomica che nessun paese al mondo paga. Nazioni unite hanno riconosciuto validi alcuni principi, fra parentesi proposti dall’anteriore governo argentino, per ristrutturare il debito estero con la finalità di evitare che si calpesti la sovranità dei paesi e dar via libera allo strozzinaggio come in questo caso. Ma il nuovo presidente e il suo gabinetto non hanno preso in considerazione questa possibilità e pagano aprendo così le porte ad altri possibili reclami di altri creditori, che avevano accettato il pago ridotto offerto dal governo argentino nel 2005. E si trasforma in un precedente per altri reclami che riceveranno altri paesi, che si ritroveranno in difficoltà e che si ricorderanno dell’Argentina in termini non propriamente idillici, per aver dato il primo mal esempio.
Paghiamo, pagheranno le future generazioni, indebitati fino al collo, ma nella speranza che arrivino gli investimenti, i grandi gruppi e tutti saremo felici e si compierà la profezia della rivoluzione dell’allegria. L’esperienza l’abbiamo già avuta. È finita con un paese distrutto che per ricostruirlo sono stati necessari anni e anni. Sarà diverso adesso? Per una classe sicuramente sì, dato che la distribuzione della ricchezza oggi è nettamente favorevole al capitale. Ai propietari delle terre della soia, sono state ridotte le ritenute e alla compagnie minerarie sono state addirittura tolte. Lo stato per finanziarsi allora ricorre ai lavoratori tartassandoli e indebitandosi internacionalmente con il Fondo monetario internazionale e &.
Ma si pagherà anche in termini di diritti umani. Chiari i segnali: arresto di una leader popolare indigena, Milagro Sala, incarcerata e fino adesso non rilasciata, nonostante non abbia commesso nessun delitto, per occupare uno spazio pubblico durante una protesta pacifica e i tagli alle funzioni dell’organismo addetto a stabilire l’identità dei figli dei sequestrati e dei “desaparecidos”. La ristrutturazione ordinata dal ministro della sicurezza Patricia Bullrich toglie alle nonne, “las Abuelas de Plaza de Mayo” un’organizzazione ammirata e rispettata in tutto il mondo, candidata al premio Nobel della pace, quegli strumenti che hanno permesso di ricuperare 120 nipoti, restituendo loro la vera identità.
Come siamo arrivati a questo? Errori molti, soprattutto negli ultimi tempi da parte del governo, le divisioni interne e poi il martellare incessante dei mass-media, la assenza di una coscienza sociale, l’individualismo e l’indifferenza, la superficialità. Il 51% ha creduto al discorso di campagna che non diceva niente, perché se si fosse detto quello che si pretendeva di fare da parte del nuovo presidente, il risultato sarebbe stato molto diverso. L’analisi è lunga e vi sono impegnati accademici, politici e la gente comune, quella che credeva all’altro modello di paese, ormai gettato in una discarica come altri progetti in questo continente.
E così mi sveglio al mattino nel bel mezzo di un grigiore spesso, aiutato da un clima inclemente, piovoso che accompagna lo sconforto, la depressione, le facce lunghe, l’ansia, l’angoscia e l’aggressività, anche se si inizia a vedere qualche barlume, fiammelle di resistenza, che hanno riempito già in quattro occasioni le piazze, come l’ enorme manifestazione contro la perdita di posti di lavoro, che ha riunito una moltitudine di 350.000 persone nella sola Buenos Aires, e quella in difesa della università pubblica, delle quali i mass-media non parlano, non mostrano, passano sotto silenzio.
Quel silenzio di ogni mattina, dove non si sentono gli echi della rivoluzione dell’allegria. Assenza che porta molti a chiedersi, arriverà questa rivoluzione come dice Maurizio il presidente?
Siamo sicuri che arriverà?
E se non arriva che succederà?