Genova, 18 settembre 2016
Capitolo I – Prima Pagina
Scorrendo le pagine dei giornali, in una mattina qualsiasi, le notizie si susseguono come al solito nella loro sostanziale monotonia. Tuttavia, in una giornata di fine estate, più che di inizio autunno, c’è una notizia in particolare che attira l’attenzione dei lettori genovesi; è lì, in prima pagina, sotto gli occhi di tutti: quella mattina la città si è risvegliata con un omicidio.
Nemmeno 24 ore prima, nel tardo pomeriggio di sabato 17 settembre, due uomini, Enzo e Guido, padre e figlio, decidono di recarsi in via San Giacomo, nel quartiere di Molassana. Vanno a trovare Christian, Davide e Marco. Ma la visita non sarà di cortesia.
L’esito dell’incontro è terribile: Davide Di Maria, detto Davidino, viene ucciso. Marco e Christian rimangono feriti. Guido, già noto alle forze dell’ordine per un daspo in Genoa – Siena, si è costituirà il giorno seguente. Enzo è attualmente latitante.
Non sappiamo ancora con precisione cosa sia successo in quella casa, né per quale motivo. La cronaca parla di un possibile regolamento di conti, legato al traffico di droga e finito male, ma la dinamica non è affatto chiara: le versioni dei protagonisti non combaciano e il risultato dell’autopsia sul corpo della vittima rivela dettagli ancora differenti.
Una situazione complessa da ricostruire, insomma, ma (apparentemente) “banale”: regolamento di conti, lo abbiamo detto. Di notizie del genere, in Italia, se ne sentono tutti i giorni. Perché occuparcene?
Perché è un nome, su tutti, quello che attira l’attenzione di chi conosce bene alcune vicende giudiziarie genovesi, e che ha attirato anche la nostra: è quello di Enzo, il padre di Guido, all’anagrafe Vincenzo Morso; nato a Gela il 27 Gennaio 1956.
Capitolo II – Il mercato dei Siciliani
Facciamo adesso un piccolo passo indietro: siamo negli anni 80’, e al vertice della malavita genovese troviamo una grossa organizzazione criminale, capeggiata, fra tutti, da Salvatore Fiandaca, nato a Riesi il 18 Dicembre 1954. Tra i suoi soci d’affari spiccano, oltre al fratello Gaetano, i fratelli Emmanuello (originari di Gela).
La compagine, diranno i giudici in diverse occasioni (1987, 2003), è da considerarsi di stampo mafioso, vicina al clan nisseno di “Piddu Madonia”. Si tratta, com’è noto, di unadecina, un distaccamento di Cosa Nostra denominato “Fiandaca-Emmanuello” – dal nome dei suoi membri più illustri.
Le loro attività sono molteplici: omicidi, estorsioni, gioco d’azzardo, droga; il traffico di stupefacenti rappresenta, senza dubbio, la loro specialità.
Tutto questo, ormai, è storia passata; ma quel che non forse tutti sanno è che negli stessi anni, altri due ragazzi gelesi iniziano a farsi strada (come afferma il collaborante La Paglia) sul mercato della droga riconducibile ai fratelli Emmanuello e quindi – possiamo dirlo – a “Cosa Nostra” nell’area ligure.
Nel 1999, la suprema Corte di Cassazione, in uno degli innumerevoli processi che riguardano la compagnia Fiandaca – Emmanuello, si pronuncia riguardo ai ricorsi presentati avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 1997, confermando alcune condanne e annullandone altre.
E accanto ai nomi dei vari Salvatore, Gaetano (Fiandaca), Davide, Alessandro e Nunzio (Emmanuello), fra una conferma e un annullamento, compaiono anche quelli dei due (ormai non più) ragazzi gelesi, condannati (loro) in via definitiva per traffico di stupefacenti: si chiamano Emanuele Monachella (detto Orazio), nato a Gela il 18 Giugno 1956, e Vincenzo Morso, anch’egli di Gela; la sua, di data di nascita, già la conosciamo.
Capitolo III– I ragazzi venuti da Gela
Appena sei anni dopo, la posizione di quel famigerato duo Morso – Monachella è ancora più forte; nel 2005, nell’ambito del processo Ducato, il duo viene addirittura ritenuto a capo di una decina autonoma, a volte in contrasto, per la gestione di alcune bische, con il gruppo facente capo a Fiandaca (i cui membri sono al centro, sempre in compagnia dei fratelli Emmanuello, anche di questo processo).
E nel 2010, nell’ambito questa volta dell’operazione Tetragona, la DDA di Caltanissetta non ha dubbi: dopo l’uscita di scena degli Emmanuello, dovuta a morti e arresti, l’asse Genova – Gela è capitanata dal duo Morso – Monachella, con una posizione di preminenza assunta dal primo, Vincenzo, pur non avendo egli mai subito alcuna condanna per associazione di tipo mafioso: è la loro consacrazione, la loro ascesa al potere.
Continua la DDA scrivendo di come la posizione criminale assunta da Morso comporti il rispetto di un vasto numero di uomini, in modo tale che egli possa disporre di un vero e proprio esercito di “soldati”.
Il morso del duo si espande per la Liguria, fino alla Val Bisagno, fino alla Gronda; e oltre.Dalla Liguria, sconfina in Lombardia, fino a toccare gli appalti dell’Expo. Così scrivono i giudici liguri e (continuano) quelli nisseni.
Ne hanno fatta di strada, quei due ragazzi venuti da Gela.
Una strada che ha portato Vincenzo Morso, nel pomeriggio di Sabato 17 Settembre, fino a far irruzione in quell’appartamento di Via San Giacomo, in una situazione ancora tutta da chiarire.
Cosa si nasconde dunque dietro l’omicidio di Molassana, che ha condotto allo scoperto un soggetto ritenuto uno dei boss più importanti del panorama Genovese? Forse davvero un semplice regolamento di conti, oppure qualcosa di più grave? Il tempo e le indagini sapranno fare più chiarezza, ma nel frattempo, occorre capire bene con chi abbiamo a che fare.
Guarda la rassegna stampa –> Delitto di Molassana