di Alessandra Venezia e Demetrio Villani

Ottava udienza Caccia: si conclude il processo a carico di Rocco Schirripa a causa di un irreparabile vizio procedurale.

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Milano, 30 novembre. L’aula della Corte d’assise è gremita: oltre a tutte le parti processuali, sono presenti i familiari del magistrato Bruno Caccia, i volontari e le volontarie di Libera Milano e Libera Piemonte e, dato il clamore mediatico suscitato dai recenti accadimenti, gran parte della stampa nazionale.

Ha inizio l’ottava udienza e, contrariamente al programma, non saranno ascoltate le testimonianze di Mario Orsini, Roberto Miano e Angelo Epaminonda ma verrà discussa la questione dell’errore procedurale che rischia di annullare l’intero procedimento. Il giudice Mannucci concede la parola al pm Marcello Tatangelo, il quale inizia porgendo le proprie scuse alla Corte e ai familiari della vittima (“Si può sbagliare, ma siamo persone serie”), continua comunicando la riapertura delle indagini a carico di Schirripa e, onde evitare qualsiasi tentativo di fuga, la richiesta di fermo di 48 ore disposta nei confronti dell’imputato, precedentemente accolta dal gip (il giudice per le indagini preliminari). Infine il pm sostiene l’utilizzabilità, in un futuro processo a carico di Schirripa, di buona parte delle prove già acquisite.

È il turno dell’avvocato Repici, che non esita a definire la situazione “un’incresciosa tragedia degli equivoci” e ritiene necessaria la verifica dei presupposti su cui si basa la richiesta di annullamento. Prosegue poi enunciando le tre motivazioni che hanno spinto i familiari a costituirsi parte civile: la verità sui motivi e sulle responsabilità attorno all’omicidio, la giustizia – la quale senza verità non ha ragione di esistere – e il risarcimento del danno. “Almeno per quanto riguarda l’utilizzabilità delle prove raccolte fino ad ora, chiedo un atto di corretta applicazione della legge, che in questa sede sembra quasi essere un atto di coraggio” conclude l’avvocato.

A questo punto interviene l’avvocato della difesa Mauro Anetrini, sostenendo l’assoluta improcedibilità per due ragioni. La prima è l’invalidità delle prove, assunte in violazione di legge, la seconda è l’illegittimità dell’intera indagine e del conseguente arresto di Schirripa. “Chiediamo di assolvere il nostro assistito per insussistenza del fatto, non ci sono le prove! A Rocco Schirripa deve essere resa giustizia” dichiara infine l’avvocato.

Inaspettatamente chiede la parola Rocco Schirripa: “Io non c’entro niente con questo omicidio! Voglio che il processo continui affinché sia fatta giustizia”.

Dopo due ore di camera di consiglio, suona la campanella e rientra la Corte. La sentenza accoglie le richieste del pm dichiarando dunque il non doversi a procedere perché l’azione penale non poteva essere esercitata a causa della famosa archiviazione del 2011 (lo spieghiamo qui). Respinge inoltre sia le richieste dell’avvocato Repici rispetto all’utilizzabilità delle prove, sia quelle dell’avvocato Anetrini sull’assoluzione dell’imputato.

In attesa di sapere come si pronuncerà il gip sul fermo di Schrripa (resterà o no in carcere durante la nuova fase di indagini?) si conclude, per ora, una complessa vicenda giudiziale. Per ora, perché lascia comunque aperta la possibilità di un nuovo processo in futuro, questa volta – si spera – nel rispetto dell’iter processuale ordinario.

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