di Dusan Desnica

Dialogo con il sacerdote messicano – candidato al premio Nobel per la pace 2017 – che aiuta i migranti e si oppone al narcotraffico.

‘’Per i narcos e il governo corrotto i migranti non sono persone, ma solo una merce’’. Esordisce così padre Alejandro Solalinde, finito nel mirino della criminalità organizzata messicana per via del suo attivismo sul fronte dell’accoglienza dei migranti e costretto a vivere con quattro guardie del corpo che garantiscono la sua incolumità. Interviene alla Statale di Milano, in un incontro organizzato nell’ambito del corso di sociologia e metodi di educazione alla legalità. È intervistato da Lucia Capuzzi, giornalista dell’Avvenire, con cui ha scritto un libro in uscita per EMI, intitolato ‘’I narcos mi vogliono morto’’.

’Politica e narcotraffico si vogliono arricchire. I migranti in quest’ottica sono prede facili, a basso costo, ma molto redditizi.’’ Ogni anno transita per il Messico circa mezzo milione di migranti. Una volta all’interno del paese corrono il rischio di essere sequestrati dai trafficanti e ridotti alla prostituzione, allo sfruttamento e al traffico di organi. Vengono dall’America centrale – Guatemala, Honduras, El Salvador – e migrano verso gli USA. Spesso sono poveri, ma hanno sicuramente qualche parente che li aspetta all’arrivo o una comunità alle spalle, come nel caso dei guatemaltechi. I narcotrafficanti torturano le vittime sequestrate mentre queste parlano al telefono con i propri cari, in modo che questi siano incentivati a pagare. Il messaggio che segue è chiaro: chi non paga viene ucciso.

Padre Solalinde ricorda che sono stati i Los Zetas, organizzazione criminale tra le più sanguinarie al mondo, ad introdurre la pratica del sequestro e del traffico di migranti in Messico. Il loro nucleo originario è formato da un gruppo d’élite con un passato militare e specializzato nella contro-insurrezione in Chiapas. Non erano mal retribuiti dallo Stato messicano, eppure hanno deciso di accettare l’invito dei narcotrafficanti e di diventare loro braccio armato, fino a trasformarsi poi un gruppo criminale indipendente a tutti gli effetti. Lo hanno fatto per soldi, per desiderio di arricchimento. L’esempio emblematico è quello di uno spietato killer dei Los Zetas che una volta catturato e interrogato in tribunale non mostra alcun segno di rimorso, perché, sostiene lui, svolgeva semplicemente il suo lavoro. La sera tornava tranquillamente a casa da moglie e figli, andava regolarmente a messa, si professava cattolico.

Il sacerdote messicano, candidato al premio Nobel per la pace 2017, ha le idee chiare su quale sia la causa strutturale della tremenda situazione che sta vivendo il Messico. Punta il dito contro il neo-liberismo selvaggio ed estremo, che ha portato ad un preoccupante cambio di valori: ha posto al centro, come valore assoluto, il ‘’Dio denaro’’. Le persone non contano più in quanto persone, bensì in quanto strumenti al servizio del denaro. In Messico, come altrove, si può essere formalmente cristiani, cattolici, ma allo stesso tempo selvaggiamente capitalisti. Il sistema neo-liberista ha corrotto anche la politica, che non è più al servizio delle persone, bensì del sistema capitalista. Questo cambiamento di valori ha corrotto profondamente la società.

La relazione tra i narcotrafficanti e il governo, quindi, ruota attorno al denaro e alla corruzione. L’orientamento al profitto è talmente forte da rompere quei codici etici che in passato erano rispettati anche dai narcotrafficanti. Ora vengono uccisi regolarmente i giornalisti, donne e minori, difensori dei diritti umani.

‘‘Un maggiore coinvolgimento della comunità internazionale e più attenzione della stampa estera forse potrebbe produrre dei cambiamenti. Al governo messicano non interessa cosa pensano i messicani, ma c’è molta più attenzione agli investimenti esteri. Ai governi importa più delle relazioni commerciali che dei diritti umani.’’ C’è modo di sperare che in futuro si possa porre fine alla violenza? ‘’La società civile ripone grandi speranze nelle prossime elezioni e spera che ci possa essere un cambio di governo’’. Diverso rispetto a quelli espressi dal PRI (partito rivoluzionario istituzionale) e PAN (partito d’azione nazionale), i quali hanno finito per favorire l’incredibile escalation di violenza in Messico. Secondo Alejandro Solalinde la speranza è rappresentata dal ‘’partito Morena’’ (Movimiento Regeneracion Nacional), guidato da Andres Manuel Obrador. Non è un candidato nuovo, si è presentato più volte alle elezioni, è una persona onesta e conosce il paese. Se la situazione non dovesse cambiare in seguito alla tornata elettorale, l’esasperazione diffusa potrebbe portare a proteste e addirittura a rivolte sociali.

In Messico manca anche una riforma della giustizia che renda indipendenti i giudici e i procuratori dal potere del Presidente. Con il sistema attuale i giudici finiscono per avere le mani legate o vengono regolarmente corrotti. Chi trasgredisce viene messo a tacere o addirittura eliminato. Il nuovo esecutivo potrebbe garantire la separazione dei poteri ed un passaggio ad un sistema compiutamente democratico.

Le responsabilità della classe politica messicana sono enormi. Quando Felipe Calderon avviò la guerra al narcotraffico nel 2006 lo fece solo dal punto di vista militare, ma di fronte non aveva un esercito regolare. Non ha adottato gli adeguati strumenti legislativi ed il sistema giudiziario è ben lontano dall’essere efficace e funzionante. A tal punto che i familiari dei ‘desaparecidos’ si improvvisano investigatori, per trovare le fosse e riesumare i cadaveri. Non è il sistema giudiziario a farlo. In Messico le leggi sono buone, il problema è che non sono rispettate.

La società messicana, poi, ha reagito molto lentamente, perché è vittima di diseducazione. Le istituzioni statali e il governo corrotto da una parte, la Chiesa cattolica dall’altra hanno rinunciato alla priorità educativa. Il lavoro delle scuole laiche e cattoliche è molto scarso. C’è, quindi, un problema di trasmissione dei valori. La Chiesa cattolica in Messico ha un forte prestigio sociale, ma si concentra unicamente sui sacramenti e non riesce ad assumere il ruolo di guida dal punto di vista educativo. Il consenso popolare nei confronti del governo è in netto calo, ma la Chiesa messicana sta facendo molta fatica a formare le persone di fronte alla situazione attuale, spesso preferisce tacere. Il risultato è quello di una popolazione molto timorosa e infantile.

Il governo non investe e allo stesso tempo mantiene l’ignoranza tramite ‘’l’educazione bancaria’’ che, come spiega Paulo Freire nel libro la Pedagogia degli oppressi, prevede per gli studenti un’educazione acritica e completamente slegata dalla realtà che si vive. L’educazione pedagogica, invece, è legata a concetti che servono ad aprire la coscienza, a formarla.

Ma In Messico c’è un deficit di maestri. Il padre riflette inoltre sulla peculiarità della situazione messicana nella lotta al narcotraffico. ‘’In Italia ci si è iniziati a liberare dalla mafia grazie ai giudici e all’intervento di Libera, della società civile. In Guatemala c’è stato un importante intervento della comunità internazionale. In Messico invece il governo non permette l’azione della comunità internazionale’’. Gli esponenti della difesa dei diritti umani sono rimasti l’unica voce forte in questo senso. Andres Manuel Obrador e Padre Solalinde sono le uniche voci forti contro il governo, ma il sacerdote messicano è critico anche della Chiesa cattolica. Per essere critici, spiega, è fondamentale essere puliti, soprattutto di fronte a continui tentativi di corruzione, in una società nella quale il Dio denaro ha preso il sopravvento. Il lavoro del sacerdote messicano è quello di smuovere le coscienze, formare. La testimonianza è il suo modo di insegnare. Perché, conclude, ‘’è solo dando l’esempio che si può insegnare’’.

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