Non poteva esserci momento migliore per il ritorno in scena di “StampoAntimafioso”. La sua culla, la facoltà di Scienze Politiche di Milano, sta ottenendo riconoscimenti in serie e ha licenziato i primi dottori di ricerca in “Studi sulla criminalità organizzata” della storia d’Italia. Tutti con giudizio di “eccellente”. In più luglio apre una lunga stagione di anniversari importanti per la lotta alla mafia, poiché un pugno di anni terribili fece davvero pensare che “la mafia uccide solo (o quasi)d’estate”. Tra questi spicca il 19 di luglio, la data simbolo di Paolo Borsellino. Che oggi obbliga a un sussulto di consapevolezza. Alle spalle abbiamo l’incredibile spettacolo delle centinaia di boss scarcerati simultaneamente subito dopo la rivolta scoppiata, sempre simultaneamente, in più di dieci carceri italiane. Alcuni al 41 bis e un’infinità all’alta sicurezza.

Chi studia seriamente queste cose sa la storia sterminata di false perizie mediche e psichiatriche che hanno assicurato libertà e carriere ai peggiori criminali, grazie a magistrati che non si preoccupavano, davanti a referti comici, di far fare contro perizie. Sa che queste sommosse rientrano pacificamente solo se ci sono concessioni non dichiarate. E sa anche che la soglia dei 70 anni è da tempo pensato come un grimaldello verso l’impunità. Cercarono di usarlo anche per evitare il carcere all’on. Cesare Previti, l’avvocato che Berlusconi trasformò in ministro della Difesa. Bene, questo repertorio ha trionfato al gran completo. Così logico e in punto di diritto che il governo ha ritirato tutto in poche settimane. Ma lo scandalo si è raddoppiato per l’invocazione dei diritti umani per i mafiosi giunto da una folla di giuristi e “garantisti” mobilitatasi come non si vedeva da tempo; e con l’inedito soccorso di una parte del movimento antimafia.

È anzi venuto fuori con chiarezza quanto da tempo ribolliva carsicamente: l’attacco al 41 bis, la norma di diritto penitenziario voluta da Falcone e soprattutto da Borsellino. Che non ha un intento di superiore afflizione verso il mafioso; ma ha un intento di superiore difesa della collettività. Che nasce dalla memoria dei mafiosi brindanti in carcere a ostriche e champagne all’assassinio delle loro vittime. Dei boss che dal carcere, anche con un bisbiglio, fanno affari e ordinano morti. Io ricordo come venne approvata quella legge. In una Camera ancora sotto l’effetto delle stragi il ministro della Giustizia Claudio Martelli entrò terreo in volto.

Le solite oche giulive mi chiesero se avrei votato una legge così restrittiva. Risposi che non sapevo cosa farmene di un parlamento che commemora affranto Borsellino e subito dopo gli boccia la sua legge. Non commemori dunque Borsellino chi lavora contro la sua eredità, che costò a lui e 5 agenti una fine terribile. Non ne porti nemmeno la maglietta. Non si può ricordare Fava vendendo la propria penna al miglior offerente. O ricordare Falcone attaccando il “concorso esterno”. La memoria è una cosa seria.

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