di Giorgia Venturini
Quarantacinque mila euro di contributi anti-Covid finiti nelle mani della ‘ndrangheta. È quanto emerso dalla nuova operazione del Gico della Guardia di finanza di Milano che martedì mattina ha portato all’arresto di 8 persone, destinatarie di 4 misure cautelari in carcere e 4 agli arresti domiciliari, e ha notificato la chiusura indagini per altre 27. L’accusa è di frode fiscale aggravate dal metodo mafioso, disponibilità di armi, autoriciclaggio, intestazione fittizia di beni e valori e bancarotta fraudolenta. I militari hanno provveduto anche al sequestro di beni mobili, aziende e disponibilità finanziarie per un valore di 7,5 milioni di euro e stanno precedendo con altre 34 perquisizioni tra Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria e Sicilia.
Nel dettaglio, le indagini delle fiamme gialle, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, hanno svelato una complessa frode dell’Ilva nel settore del commercio dell’acciaio: attraverso più società, sia italiane che estere e formalmente rappresentate da prestanomi, gli otto arrestati, vicino al clan Greco di San Mauro Marchesato, una ‘ndrina distaccata della locale di ‘ndrangheta di Cutro (Crotone), emettevano e utilizzavano fatture per operazioni inesistenti manipolando le liquidazioni periodiche dell’imposta sul valore aggiunto. A coordinare le frodi, secondo la Dda, c’era Francesco Maida, considerato tra i fedeli della cosca crotonese. Per tre di queste società lo stesso Maida avrebbe chiesto e ottenuto, aiutato da false fatture, 45mila euro, i contributi a fondo perduto previsti dall’articolo 25 del decreto 34 dello scorso 19 maggio, finalizzati a sostenere il sistema imprenditoriale colpito dalla crisi economica del post emergenza sanitaria.
Stando a quanto riferito in una nota dal procuratore di Milano Francesco Greco, all’interno di questo meccanismo fraudolento gli arrestati avrebbero riciclato risorse di provenienza illecita servendosi della collaborazione di un cittadino cinese, residente in Toscana, pronto a riciclare somme di denaro in contatti e a inviarle in Cina. “Sarebbe stato bonificato – si legge – un milione di euro, dai conti correnti di alcune società inserite nello schema di frode facendo confluire predette somme verso istituti di credito siti in Cina”.