di Carmelo Giuseppe Agostino, studente
Ho scelto di seguire il corso di Sociologia della criminalità organizzata all’Università Statale di Milano come attività formativa a scelta libera per poter approfondire, vivendo a Sinagra, un paesino siciliano in provincia di Messina a ridosso dei Monti Nebrodi, argomenti che mi toccano particolarmente, sui quali, fortunatamente, ho avuto modo di recepire qualche conoscenza sin da bambino.
Dopo la laurea triennale conseguita a Messina (proprio il 19 luglio, giorno della Strage di via d’Amelio) ho deciso di spostarmi per completare gli studi alla ricerca di nuove opportunità, e questo corso, tenuto dal professore Nando dalla Chiesa a Milano, è stata una di quelle che mi sono, sin da subito, posto di cogliere.
Mi ha colpito l’approccio alla materia. Ho sempre avuto modo, tramite associazioni, scuole, manifestazioni, cineforum, di trattare l’argomento mafia, ma non mi era mai capitato di approcciarmi ad esso anche dal punto di vista sociologico. Un’indagine che parte sì da storie, dal “c’era una volta”, ma che si esplica anche, e soprattutto, nello studio di dinamiche culturali, sociali, economiche e politiche senza tralasciare l’analisi giuridica, e tutto questo è stato preparato, come ho potuto constatare, con una precisa struttura, sia cronologica che concettuale, cosa che non ho mai trovato in altre sedi d’informazione sull’argomento, nelle quali si trattavano per lo più o casi isolati e spesso scollegati tra loro, o i casi più ‘famosi’ ma soltanto per tenerne memoria (per quanto possa essere importante). Questo mi ha permesso di rispolverare vecchie conoscenze e ricollocarle meglio temporalmente, inoltre, ha suscitato in me anche alcuni stupori, dato che, questo metodo diverso, mi ha proposto dettagli nuovi, mai sentiti prima.
Ad esempio, una cosa che particolarmente mi ha colpito è che l’organizzazione mafiosa ci è stata presentata come forma di esercizio del potere. Il potere è l’obiettivo principale di questo gruppo di criminali, e ricordo alcuni interventi su questo argomento parlando di Provenzano ed altri boss che, spinti da questa sete di potere, sono disposti a vivere sottoterra come i topi, o in casolari diroccati.
Ho sempre considerato la mafia come un fenomeno criminale, dovuto sì a dinamiche economico-culturali e con un certo stile di vita, ma nella mia idea esso avrebbe avuto uno scopo più ‘tradizionale’, più ‘ladresco’. Non riesco a spiegare questa visione che avevo, forse perché sono stato influenzato dai racconti che circolano nella mia zona dove, fortunatamente, almeno nei tempi recenti, a parte l’attentato a Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, non ho mai assistito a operazioni di mafia in ‘grande stile’, o meglio, è grazie al corso che son riuscito a capire che molte non lo fossero. Infatti, l’errore che sin dall’inizio del corso c’è stato detto di evitare è quello di considerare la mafia come una continuazione ed evoluzione del fenomeno del brigantaggio, evitare di pensare che sia semplicemente una composizione di gruppi criminali, diretti da una cupola, che ‘tirano a campare’ attraverso i crimini. Questa visione ‘antica’ e lontana della mafia, insieme agli stereotipi che girano (che, devo dire, ho trovato anche molto divertenti), non rispecchia minimamente la realtà, ci porta a considerare mafia ciò che non lo è ed alimenta quell’alone di mistero, di invisibilità, di cui proprio essa si serve per acquisire forza.
La presentazione di questo fenomeno come modello di ‘creazione e gestione di un potere’, denominatore comune di storie diverse ed organizzazioni diverse, ha portato in me consapevolezze nuove. Grazie a questa visione, le frasi di importanti magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, o testimonianze di letteratura come quelle di Carlo Levi, ma anche di film come ‘Il Padrino’, hanno ora un senso diverso. La ricerca del ‘controllo’, la volontà di creare uno ‘Stato nello Stato’, un modello funzionale che non muta nel tempo nonostante varino situazioni ed obiettivi, che non ha leggi in senso stretto, ma codici comportamentali e rapporti di interdipendenza, si sposa perfettamente con questa nuova visione (supportata da numerosi dati empirici) che ho avuto modo di conoscere con il corso.
Ha ora un senso diverso, per me, anche la famosissima legge Rognoni-La Torre che istituì il reato di associazione mafiosa. Infatti, ho potuto constatare che tale legge non presenta soltanto un’importante svolta giuridica, ma è anche una presa di coscienza sul fatto che questo fenomeno non può prescindere da un’importante indagine culturale e sociologica. Non avevo mai notato che nella legge sono presenti delle definizioni e delle caratteristiche tipicamente umane, sociali, che sondano i processi interiori e la psiche dell’essere umano, quali l’intimidazione, il ‘potenziale’ uso della violenza, elemento di pura natura umana, la quale è in grado di creare assoggettamento, gerarchie, omertà, paura e, insomma, tutte quelle condizioni ideali per il compimento di un delitto. Delitto che la legge nomina soltanto, ritenuto ‘aggiunta a questo reato propriamente ‘sociale’ quale l’associazione mafiosa.
Vantaggi, profitto, controllo del territorio, in una parola: potere. È questo il fulcro principale del fenomeno mafioso che è stato più volte analizzato durante le lezioni e che ha sicuramente chiarito la mia idea di mafia. Hanno ora un senso diverso, per me, tutte quelle uccisioni, quegli attentati ‘eccellenti’ realizzati da organizzazioni mafiose, non per la loro natura ladresca, non per eliminare qualche ‘rogna’ in modo da poter più facilmente commettere reati, accumulare profitti, ma per levarsi di torno persone che ostacolavano non solo il dominio su un territorio ma, in definitiva, l’ascesa di un potere sempre più stringente che va ad intaccare le strutture ed i meccanismi dello Stato stesso.
Dopo aver inquadrato il fenomeno, è stato poi fondamentale lo studio e la distinzione delle principali organizzazioni mafiose, Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta. Onestamente avevo solo studiato per sommi capi le loro differenze. Conoscevo più o meno bene i loro luoghi d’origine, sommariamente la loro genealogia, i nomi di qualche boss, ma sapevo poco della loro evoluzione e dei loro caratteri principali, tant’è che ero portato quasi ad assimilarle, a generalizzare.
Tra le tre organizzazioni mi ha stupito molto di più la ‘ndrangheta, con la sua espansione ed il suo carattere dinamico. E che dire delle sue capacità di infiltrazione ed il suo fenomeno d’esportazione? È incredibile come sia stata abile a sfruttare metodi di contrasto, come il soggiorno obbligato dei boss in aree ‘non tradizionali’ per rilanciarsi e crescere sempre di più fino ad arrivare a passare da gruppo servile di Cosa nostra ad organizzazione più potente e pericolosa d’Europa. E per di più, non mi sarei mai aspettato che continuasse ad avere ‘cuore e cervello’ nei piccoli paesini, lì dove aveva messo le sue radici.
La vicenda di Cutro, di Platì, il vincolo identitario e le ‘ndrine, le storie sulle campagne elettorali di candidati del Nord svoltesi al Sud, le processioni dei Santi nelle città ‘colonizzate’, mi hanno molto appassionato e, a tratti, sconvolto. Probabilmente perché la ‘ndrangheta è l’organizzazione che conoscevo meno, sia strutturalmente, che come storia ed obiettivi. Forse perché su di essa non sono stati girati così tanti film o documentari come è stato fatto per Cosa nostra o la camorra. O forse perché anch’io, nella mia ignoranza, la sottovalutavo come organizzazione e non mi ero informato più di tanto.
Riconosco che anch’io ero vittima di qualche stereotipo simile a quelli presentati ad inizio corso. Credevo che la mafia fosse espressione solamente di una certa cultura, e che proliferasse solo e soprattutto in zone povere e poco istruite. Insomma, credevo che non potesse attecchire così tanto nel resto d’Italia, figuriamoci nel Nord Italia e nelle sue sviluppate città! E invece, grazie al corso, mi sono ricreduto.
In una lezione abbiamo paragonato il fenomeno mafioso a un ‘contagio’. Il contagio avviene dove la sanità scarseggia, ma soprattutto tra corpi ‘malati’, non sani. Questa metafora mi ha particolarmente colpito. In questo caso, si potrebbe paragonare la mancanza di sanità alla poca educazione alla legalità, a uno scarso sviluppo del senso civico, alla mancata applicazione della legge, ai metodi di contrasto inadeguati. Tutto questo contribuisce alla creazione di ‘corpi malati’, società malate, in cui la mafia può proliferare con più forza e può creare veri e propri centri di potere. Questo paragone mi è stato molto utile per spazzare un altro stereotipo e comprendere il perché la mafia abbia proliferato anche nel Nord e, in definitiva, nel mondo. Di conseguenza, ho realizzato di non essere stato l’unico a pensare la mafia in modo erroneo.
Nelle ultime lezioni del corso, abbiamo studiato che la mafia ha avuto un’espansione così vistosa proprio perché molti di coloro che dovevano e potevano contrastarla non avevano un’idea chiara del fenomeno. Addirittura, fino al 1992 la giurisprudenza di Milano ne parlava come un fenomeno inesistente al Nord, poiché non ve n’erano le prove giudiziarie. “La mafia non esiste”, sono parole dette e ripetute da molti personaggi nella storia.
Il raffronto più bello che ho avuto modo di incontrare proseguendo questo interessante discorso sulle imprese, è stato quello in risposta alla domanda: La mafia è moderna? La risposta, che la mafia non può essere considerata moderna se analizziamo i quattro principi della modernità definiti dai sociologi, ma che utilizza la modernità insieme all’arretratezza in una sorta di chiaro-scuro del suo agire, ha sicuramente dato una spazzata a tutti quegli stereotipi e dubbi che ancora mi annebbiavano la mente. Questa analisi di una mafia che opera nei grandi mercati finanziari e nelle borse, ma anche nell’opacità dei mercati locali, e che sfrutta le leggi moderne e democratiche dello stato sociale ma che ama il feudalesimo del potere e, in breve, ha il cuore nella arretratezza, rinforza ancor di più il nuovo punto di vista dal quale guardo il fenomeno mafioso dopo aver seguito le lezioni di questo corso. Un’immagine ambigua, beffarda, con una grande impalcatura dietro e meccanismi mai lasciati al caso.
Mi sono reso conto di quanto la mafia sia un agente di trasformazione sociale, di quante facce possa avere e in quante situazioni possa infiltrarsi. Ricordo con piacere che le prime domande di noi studenti furono quelle relative a questa situazione di emergenza sanitaria. In molti abbiamo sospettato la minaccia di possibili infiltrazioni nei programmi di ripresa. E che dire delle scarcerazioni che ne sono venute fuori? Ricordando la storia di Cutolo e le false perizie mediche e notando, ancora, come la mafia sfrutti il diritto (la modernità) solamente quando le fa comodo…
Il corso mi ha sicuramente dato una coscienza nuova, una visione più completa di quel mosaico di nozioni e intuizioni che possedevo del fenomeno. Devo dire che durante alcune lezioni mi sono quasi scoraggiato per la mia carenza di conoscenze, soprattutto di eventi che sono accaduti vicinissimo a me, e posso asserire che mi piacerebbe molto approfondire ancora.
Ammiro tanto il coraggio di persone che hanno combattuto e continuano a combattere questo fenomeno. Seguendo questo corso ho avuto l’opportunità di scoprirne molte altre e di capire quanto sia importante la conoscenza approfondita, la chiarezza, la padronanza d’informazione e, soprattutto, l’unione. Unione di più punti di vista, di studi e idee, ma anche unione solidale, di condotta, di coscienza, di fratellanza, contro un male che, come abbiamo visto, tirando le somme, non è vero che dia buone alternative, ma logora e brucia tutto ciò che agguanta.