di Mattia Maestri
Un secolo. È il tempo trascorso dalle lotte contadine siciliane del primo Dopoguerra alla schiavitù mascherata di oggi. Agli inizi del Novecento sono molti i comuni dell’entroterra palermitano che rispolverano quella sensazione di ribellione e richiesta di diritti, ricordando il biennio dei Fasci siciliani della fine del secolo precedente.
Ed è così che a Piana dei Greci si occupano le terre, a Corleone ci si associa in cooperative dando luogo alle prime esperienze di ‘affittanza collettiva’, mentre a Prizzi si ‘sciopera al rovescio’, poiché anziché ‘incrociare le braccia, si lavorano le terre precedentemente occupate. Prizzi è anche il paese di Giuseppe Rumore e Nicola Alongi: il primo, segretario della lega dei contadini, il secondo, dirigente socialista e anima del movimento contadino palermitano. Quest’ultimo, insieme al segretario dei metalmeccanici Giovanni Orcel, aveva progettato un’alleanza tra i braccianti e il mondo operaio, che fosse capace di portare lo scontro su una pluralità di intenti comuni.
Entrambi però vengono uccisi dal piombo mafioso, e prima di loro lo stesso Giuseppe Rumore. Perché in Sicilia non c’è soltanto lo sfruttamento della manodopera da parte dei latifondisti. Ma il sistema di potere dell’epoca prevedeva l’affiancamento al nobile di una doppia veste del soggetto mafioso, che svolgeva da un lato la funzione di gabellotto, e dall’altro quella di campiere. Gestione del lavoro nei campi e guardiania del latifondo. Senza dimenticare l’utilizzo costante della violenza, per soffocare qualsiasi tentativo di ribellione allo status quo.
A farne le spese, decine e decine di sindacalisti e dirigenti politici, che, tra i primi anni del Novecento e l’emanazione della legge agraria nel 1950, vengono barbaramente assassinati da Cosa nostra. Una sequela di omicidi mirati a destabilizzare un movimento che, soprattutto nel Secondo Dopoguerra, era riuscito ad ottenere diritti fondamentali grazie a leggi nazionali, tuttavia quotidianamente negati in Sicilia, dove l’autonomia regionale ‘permetteva’ il sopruso e la repressione.
E oggi? I gabellotti hanno lasciato il posto ai caporali, attuale categoria che impiega la manodopera bracciantile, spesso di origine straniera, nel lavoro giornaliero nei campi. Le storie delle persone, vittime di questa forma moderna di schiavitù sono presenti in tantissime inchieste giornalistiche e giudiziarie, e recentemente nel libro ‘Racconti di schiavitù. E lotta nelle campagne’ della giornalista freelance Sara Manisera. Ma oggi, come un secolo fa, i contadini non rimangono inerti a subire violenze, ma si associano, pagando a caro prezzo la lotta per tutti quegli ‘invisibili’ che ogni giorno vengono ‘venduti’, reclutati e schiavizzati dall’alba al tramonto nei campi. Senza diritti, senza assicurazione, senza contratto. E perseguitati non appena cercano di rialzare la testa, dopo l’ennesimo episodio di sfruttamento.
Ma quanto vale una vita? In alcune zone di alcune regioni d’Italia sembra valga pochissimo. Circa 0,80 centesimi a cassetta di agrumi.