di Nando dalla Chiesa

C’è qualcosa che non quadra dalle parti dell’antimafia. Non so quando e non so come
ma a un certo punto qualcuno deve avere incominciato a pensare (insieme ad altri, è
ovvio) che la mafia non c’è più
, che c’è solo la corruzione, che un’epoca è finita e
che ora il mondo dell’antimafia deve iniziare a pensare ad altro. Qualcosa di più
urgente. E più bello, più edificante. Pronti via. E si è iniziato.

L’ho sentita di recente questa opinione. Espressa da un giovane che ha preso la parola
in un’occasione pubblica. E che ha detto con tono infervorato le seguenti cose: che
l’antimafia sociale deve fare come il cannocchiale; il quale era stato inventato dagli
olandesi (mi sembra, certo ha nominato un popolo nordeuropeo) per combattere
contro le flotte altrui che si avvicinavano alle coste; ma che poi Galileo ne fece un
uso diverso e lo impiegò per scoprire le bellezze dell’universo. C’era l’entusiasmo del
neofita in quella spiegazione concitata, tipico di chi è convinto di mettersi sull’onda
giusta di chi lo ascolta e suscitarne l’approvazione. Tradotto: l’antimafia sociale nata
un tempo per combattere la mafia ora deve puntare in alto e finalmente vedrà e si
misurerà con cose più grandi e mirabili. A questo punto soccorrono giusto tre
domandine:


Numero 1. Ma chi l’ha raccontata questa storia degli olandesi (o chi per loro) che
inventano il cannocchiale per fare meglio le guerre navali?
La storia del cannocchiale
è confusissima. Sulla genesi come sulla paternità dell’invenzione. Una delle poche
cose (quasi) certe è che Galileo imbrogliò la Serenissima Repubblica di Venezia
raccontando al Doge di averlo inventato lui e ne magnificò i vantaggi militari come i
vantaggi per gli studi astronomici, chiedendo in cambio della cessione
dell’invenzione un vitalizio e una cattedra. Il brutto della guerra non fu dunque
alternativo ma convisse fin dall’inizio con il bello dei cieli. E in definitiva anche chi
ha dato vita a suo tempo all’antimafia sociale ha pensato insieme a combattere la sua
battaglia e a un mondo più felice e meno violento. Diciamo con più stelle e meno
sangue da contemplare.


Numero 2. Ma se una associazione nasce nel segno della lotta alla mafia perché mai
dovrebbe mettersi a fare altro?
Come dire alla Caritas che non deve più occuparsi dei
poveri, all’Anpi che la pianti con la Resistenza e la Costituzione, a Emergency che la
smetta con le emergenze sanitarie, e a Legambiente con le sue ubbie ecologiche (i
Verdi, per dire, finirono politicamente appena si misero a occuparsi d’altro). Uno è
libero di cambiare i suoi interessi, può chiedere a un’associazione di essere più
creativa, più competente (appunto…), ma non di gettare alle ortiche la sua ragione di
vita e i valori del suo “popolo” per seguire Galilei immaginari… Insomma: davvero si
può chiedere a un’associazione antimafia di non combattere più la mafia?


Numero 3. Oddio, lo si potrebbe fare se si pensasse che la mafia non c’è più. O che
“ha esaurito la sua funzione propulsiva”, giusto per usare la frase con cui Berlinguer
prese le distanze dall’Unione Sovietica e dalla Rivoluzione d’Ottobre. Cioè che è
esausta e in affanno. Oppure se si fosse convinti che oggi, con la pandemia che ci sconvolge le vite, c’è ben altro a cui pensare. O, cosa bellissima, che l’antimafia
sociale grazie al suo cannocchiale ha vinto e non ha più niente da fare. Terza
domanda: si pensa questo? Il guaio è che proprio per quel che succede, ossia il Covid e i suoi effetti, la mafia costituisce un rischio attualissimo. Ce lo dicono tutti gli analisti. Rischio contenibile,
arginabile, certo: purché le si chiudano i varchi e non le si lasci campo libero. Il guaio
è, ancora, che c’è un presidente di commissione antimafia regionale in Sicilia, di
nome Claudio Fava, che ha ricevuto un avvertimento serio, molto serio, non il solito
proiettile
, e che, da vero professionista dell’antimafia, ha riconosciuto subito il livello
della minaccia; i dilettanti (ma anche i professionisti) si leggano il bellissimo articolo
di Riccardo Orioles del 9 agosto.

Il guaio, ancora, è che c’è un presentatore televisivo, di nome Massimo Giletti, il quale può piacere o non piacere ma è oggi sotto scorta dei carabinieri per effetto dei commenti intercettati di Filippo Graviano, l’autore delle stragi del ’93. Ed è un fatto che questo presentatore si è esposto molto in tivù grazie ai troppi silenzi accumulatisi sulla incredibile vicenda delle scarcerazioni dei boss, irresponsabilmente liquidate da una parte del movimento antimafia come una “montatura” della stampa. Motivo: anche i boss hanno diritto a essere “rieducati” alla speranza. Già, dev’essere per via di quella tesi che la mafia oggi non c’è più. E che l’antimafia deve fare come il cannocchiale. Purtroppo anche nel Duemila i mafiosi la guerra la fanno sempre con i cannocchiali. Per vedere a distanza. Loro non ci rinunciano… Andategli a spiegare la cosa di Galileo.

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