di Corrado Steffan

Calabria. L’estate sta esprimendo il suo massimo splendore. E’ agosto e i calabresi che negli anni hanno lasciato per studio o per lavoro la piccola comunità costiera tornano a trovare le loro famiglie. Turisti pochi – pochissimi anzi – e la colpa non è solo della pandemia; anche l’anno scorso e anche quello prima la meta calabrese, pure in possesso di tutte le caratteristiche che una località turistica di prestigio vorrebbe avere, era scelta solo da chi era in qualche modo legato al territorio per ragioni familiari dirette o indirette. È tardo pomeriggio e il sole si prepara a tuffarsi oltre la linea dell’orizzonte, accompagnato dal suono di chiacchiere gioviali di chi affolla gli ombrelloni, di chi si gode la riva e di chi gioca agli amatissimi sport da spiaggia.

Gli occhi più attenti, tra le moltissime persone che si beano della cornice incantevole, ne notano in particolare una. C’è un uomo che si è sistemato esattamente sulla linea di confine di uno stabilimento balneare frequentatissimo dagli abitanti del piccolo centro prima ancora che dai pochi turisti. Dall’altro lato, invece, ha almeno sei metri di spiaggia libera dove nessuno si è avventurato a posizionarsi; subito dopo questo spazio di cortesia c’è un bell’affollamento di ombrelloni che certamente gioverebbero, in termini di distanziamento, dell’uso di quell’ampio spazio libero che li separa dall’uomo.  Ancora: sotto l’ombrellone che ha posizionato esattamente sulla linea di confine dello stabilimento – di cui, resti inteso, non è cliente – ha piazzato una delle sedie sdraio giallo limone che arredano gli ombrelloni a pagamento del lido e il servizio dei bagni si premura di portargli a intervalli regolari qualcosa da bere o, nelle ore pomeridiane più calde, un bel vassoio di frutta mista col ghiaccio

Ma chi è questo signore che si nota più di altri?
“Ma come? Ma non lo sai?” 

Il cognome che viene sussurrato perché tutti siano inequivocabilmente informati e nessuno faccia gaff con l’uomo è quello della vecchia ‘Ndrina locale. L’esponente che ne stiamo osservando, quasi sempre solo e silenzioso ma salutato e riverito da tutti, è il cugino del capostipite ed è appena tornato in libertà dopo tre lustri di carcere. La sua famiglia ha dominato incontrastata il territorio per decenni finché, negli anni duemila, una congiunzione favorevole di eventi e di uomini e donne dello Stato di grande valore l’ha sostanzialmente smantellata. Del quadrumvirato che guidava la famiglia nell’ultima parabola della sua storia, tre fratelli e una zia, un uomo è morto ammazzato e due collaborano con la giustizia; la donna invece, temutissima da tutti e mai pentita, sconta un ergastolo in regime di 41 bis in un penitenziario fuori regione ed è la mamma del nostro uomo che si gode le ultime ore di sole che riflette sull’acqua cristallina.

Quando è uscito dal carcere ha scelto – e gli è stato permesso – di tornare sul territorio che ha controllato e di sincerarsi che lo vedessero tutti. Il paese ormai, soprattutto i più giovani, si era abituato a una vita senza la presenza opprimente della ‘ndrina ed in effetti non la vogliono più. C’è insofferenza per questo ritorno, molti si chiedono come mai il boss non abbia scontato fino in fondo i 22 anni di carcere a cui era stato condannato e perché, una volta concessogli di uscire con anni di anticipo, non sia stato quantomeno previsto un soggiorno obbligato in un territorio lontano da quello su cui ha spadroneggiato. Il problema ora è dire al nostro uomo di questa insofferenza, dato che lui è tronato per comandare e per essere riconosciuto e riverito, certo che a questo progetto non vi sarebbe stato alcun ostacolo (in effetti al momento ha ragione lui e ostacoli non se ne vedono).

Ecco dunque come da un piccolo e circostanziato caso la mente e le riflessioni viaggiano verso quella sciatteria di alcune decisioni che, evidentemente, non tengono conto di cosa voglia dire per una piccola comunità sapere che il boss è tornato, che è di nuovo a casa sua. Da un lato c’è chi si trova nella spiacevole situazione di dover chinare il capo e accondiscendere all’atteggiamento di chi vuole prevaricare e opprimere. Dall’altro il corteo di adulatori che pensano di potersi avvantaggiare di questo ritorno e sfilano in una demoralizzante processione di richieste e di manifestazioni di stima che si esprimono quasi sempre col più classico dei “sempre a disposizione”.

La questione è stata recentemente oggetto di serrato dibattito pubblico, in occasione dell’ondata di scarcerazioni, anche eccellenti, che ha riguardato molte carceri italiane prima dell’estate. Molti, moltissimi, hanno scelto di affrontare il problema ponendo il tema dei diritti e della sostanziale equivalenza di una detenzione e di una pena domiciliare. Pochi, pochissimi, hanno pensato ai diritti violati e irrisi dei Cittadini che non vogliono assoggettarsi di nuovo a un mafioso che vive il territorio e i suoi abitanti come cose di sua proprietà e soggette alla sua autorità. Restando sul tema dei domiciliari, poi, quanti si sono posti il problema della presenza fisica di un boss dal passato criminale glorioso su un territorio che si stava misurando con un percorso post-mafioso, spesso con esperienze davvero importanti e di grande rilevanza civile?

Ma evidentemente, come possiamo vedere in questo bel pomeriggio di agosto su questa spiaggia di sabbia bianca sottilissima, ci sono processi decisionali in ambito di contrasto alle organizzazioni mafiose che tengono poco conto della realtà e delle ricadute potenziali di alcuni interventi. E anche volendo prendere in analisi solo casi apparentemente meno gravi di questo, cioè casi in cui il boss non è quantomeno libero di andare in spiaggia ma è detenuto agli arresti domiciliari, dopo l’esperienza del lockdown c’è ancora qualcuno che pensa, in buonafede, che fare scontare i domiciliari oggi, nel 2020, sia lo stesso che scontare i domiciliari trent’anni fa? Non vi sono forse, oggi, tutti gli strumenti per fare di casa propria un nodo di comunicazione da cui poter svolgere quasi in pieno tutte le attività che si desiderano?

Ecco, forse quando impieghiamo tutto il nostro più profondo senso di tutela nei confronti di singoli uomini e donne che avrebbero, a dire di molti, diritto a tornare a casa propria ancor prima che decorra il tempo della pena, forse avremmo il dovere di elaborare anche pensieri di tutela per tutti quei Cittadini e per tutte quelle intere comunità che stanno lottando per rinascere e che vivono come un incubo i rischi di recrudescenza di una cultura mafiosa da cui, in alcuni casi, si sono liberati al prezzo di fiumi di sangue e di anni di terrore.

“Ma possibile che questo corteo non finisca mai? Ma chi sono tutte queste persone che di continuo vanno a parlargli qualche minuto e poi se ne vanno?”
“Qui lo sanno tutti chi sono e che cosa hanno in comune. Diciamo che sono vecchi amici! Vecchi amici ritrovati che non hanno più paura né vergogna”.

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