di Giorgia Venturini
“Ritratta o tua figlia non la vedrai più”. Non è che una delle tante frasi rivolte al pentito di ‘ndrangheta Emanuele Mancuso da parte dei suoi famigliari che sono arrivati a minacciarlo più volte per cercare di zittirlo e convincerlo a smettere la sua collaborazione con la giustizia. Ma Mancuso, tra i primi pentiti di ‘ndrangheta, non si è lasciato intimidire e ha continuato a fare nomi e cognomi ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Ora proprio la Dda calabrese, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, ha chiuso le indagini preliminari per dieci persone vicine al collaboratore di giustizia: secondo l’accusa, rappresentata dai pm Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso, i dieci indagati avrebbero offerto prima dei soldi per poi passare alle minacce quando avevano capito che Mancuso non avrebbe ceduto davanti all’offerta di denaro. L’ex rampollo della cosca Mancuso di Limbadi e Nicotera, in provincia di Vibo Valentia, avrebbe vacillato solo davanti alla terribile prospettiva di non vedere più la figlia. Ma anche in questo caso aveva poi deciso di proseguire la sua collaborazione accusando, secondo quanto ricostruito dall’Ansa, anche il fratello Giuseppe e il padre Pantaleone, detto “l’ingegnere”, di gravi reati. I dieci indagati ora dovranno rispondere di violenza privata, intralcio alla giustizia, favoreggiamento nei confronti di alcuni latitanti, ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi, evasione dai domiciliari: avranno venti giorni di tempo per chiedere al pubblico ministero di essere interrogati o presentare memorie difensive.
Gli indagati sono tutti famigliari di Emanuele Mancuso: le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia si concentrano sul padre, la madre, il fratello, la zia, la compagna. Il fratello, indagato per violenza privata e favoreggiamento personale, è accusato di aver tentato di convincere Emanuele Mancuso a ritrattare le sue dichiarazioni affacciandosi alla finestra della cella del carcere di Siano, a Catanzaro, dove il pentito è detenuto, e intimandogli di fare marcia indietro. Non solo: avrebbe inviato una lettera al fratello ricordandogli il suo dovere verso la famiglia, minacciandolo di tacere. La compagna, invece, aveva fatto recapitare al fidanzato in cella la foto della figlia in braccio al fratello, e aveva suggerito al compagno la strategia migliore per ritrattare, ovvero farsi passare per pazzo davanti ai magistrati. Intralcio alla giustizia è invece il reato contestato ad altri parenti, tra cui il padre, la madre e la zia, per aver costretto il pentito, con pressioni e violenze psicologiche, a non deporre all’udienza del 20 dicembre 2019.
Le indagini dei carabinieri avevano portato già all’arresto del fratello nel novembre dello scorso anno. Sempre nel 2019 il padre era stato arresto per la seconda volta: per lui erano scattate le manette nel 2014 al confine tra Brasile e Argentina e poi estradato in Italia. Nel 2017 aveva violato il regime di sorveglianza speciale e aveva raggiunto Roma dove nel 2019 era stato arrestato in una sala bingo.