Di Myriam Cosco
La tematica del contrasto alla criminalità organizzata è spesso inserita tra i punti cardine dei programmi di quasi ogni formazione politica. Nonostante ciò, non è mai tra le priorità del momento in cui si passa dalla campagna elettorale all’effettiva concretizzazione dei propositi.
Le proposte che vengono presentate agli elettori, rispondendo ad un sentimento comune di giustizia, sono troppo generali e poco esaustive. Sebbene durante la campagna elettorale, il problema della criminalità organizzata, venga perlomeno citato, non sono mai delineati in modo serio e coerente strumenti di contrasto efficace. Tuttavia, negli ultimi tempi, vi sono state innumerevoli riforme legislative atte a reprimere concretamente il fenomeno mafioso. Sebbene questi strumenti abbiano dato dei risultati, non ne sono stati considerati alcuni, utili a prevenire il diffondersi del fenomeno mafioso tra i più giovani: l’educazione al contrasto alle mafie e la promozione della cultura alla legalità.
Il termine legalità, sul dizionario della lingua italiana viene definito come: “Conformità alle prescrizioni della legge”. Parlare di educazione alla legalità con riferimento al contrasto alla criminalità organizzata, può risultare non esaustivo perché il fenomeno mafioso, nel portare avanti i suoi interessi, si avvale anche di strumenti legali perseguendo fini immorali. A tal proposito può facilitare la comprensione del concetto l’esempio apparentemente off topic ma allo stesso tempo pregnante del fascismo: con l’introduzione delle leggi razziali, perseguitare gli ebrei era considerata una condotta conforme alla legge. Questo comportamento anche se all’epoca legale non si può definire certamente morale, anzi: è oggi – e per fortuna – considerato tra i crimini più atroci della storia.
Per questo motivo quando si parla di educazione al contrasto alle mafie è più consono usare l’accezione più ampia di “educazione alla giustizia sociale”. Una formazione solida su questo fenomeno è importante perché, come ci ricorda il magistrato Antonino Caponnetto, “la mafia ha più paura della scuola che dei giudici, perché prospera sull’ignoranza”. Combattere la criminalità organizzata con l’istruzione soprattutto in alcune aree d’Italia, può risultare, probabilmente, l’unico strumento di prevenzione davvero efficace.
Oggi, nelle scuole e negli atenei, si parla poco del fenomeno mafioso. Sono una rarità i professori “coraggiosi” che affrontano criticamente queste tematiche coinvolgendo in progetti formativi i loro studenti. Parlare di mafia in modo capillare nelle scuole ed università, è una battaglia contro la mentalità mafiosa. Questo l’aveva capito bene Don Pino Puglisi che “strappava” i giovani dalle strade e quindi dal controllo mafioso, per dar loro un futuro alternativo. L’importanza della promozione della cultura alla legalità e della giustizia sociale, deve essere una priorità dello Stato se vuole davvero ottenere dei risultati più concreti.
Durante il mio percorso di studi nella facoltà di giurisprudenza, mi sono scontrata con una realtà quasi indifferente alla criminalità organizzata, data la mancanza quasi totale di corsi di formazione su questa tematica. Professori, magistrati ed avvocati, spesso ignorano la vera natura del fenomeno mafioso equiparandolo alla semplice criminalità. Un’impostazione di questo tipo comporta spesso eccessivi garantismi in ambito giudiziario e penitenziario, come dimostrano le recenti scarcerazioni di capi mafia. Questo evento ha creato dello sconcerto nella popolazione e nelle persone impegnate in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata.
Penso sia necessario l’istituzione di più corsi universitari e non, che aiutino a conoscere, riconoscere e contrastare la cultura e la mentalità mafiosa. L’arma vincente, secondo quanto ho intuito in questi anni di studio del fenomeno, è il portare avanti in modo costante e simultaneo il contrasto giudiziario e l’educazione alla giustizia sociale.