di Monica Forte

Che fine hanno fatto gli incendi di rifiuti in Lombardia? Dopo il maxi rogo di via Chiasserini a Milano del 14 ottobre 2018 l’attenzione mediatica è aumentata e sono emersi numeri davvero impressionanti: tra il 2017 e il 2018 in Lombardia si sono verificati 30 incendi di rifiuti in impianti autorizzati, tra produttivi e trattamento/gestione, e 7 in altri siti non autorizzati.

Numerose le indagini delle forze dell’ordine e molte le inchieste della magistratura che hanno svelato come in Lombardia la gestione illecita di rifiuti sia diffusa, molto ben organizzata e spesso riconducibile a consorzi mafiosi che proprio nel business dei rifiuti da molto tempo hanno investito con grandi profitti e rischi contenuti.

Gli incendi sono continuati anche nel 2019 con qualche differenza, 13 negli impianti autorizzati e 8 nei siti abusivi, mentre gli ultimi dati relativi al 2020, da gennaio a novembre, nonostante la pandemia e il lockdown, ci raccontano un totale di 10 incendi con una preferenza, sette, per i siti autorizzati.

Sarebbe quindi facile concludere che il fenomeno stia regredendo, ma altrettanto facile e pericoloso sarebbe affermare che questo dipenda da una diminuzione di interesse da parte della criminalità per la filiera dei rifiuti, perchè così non è.

Una delle strategie vincenti della criminalità organizzata è proprio quella di adattarsi ai cambiamenti scegliendo strade meno pericolose, ma altrettanto redditizie. E’ quindi comprensibile che tutto il clamore mediatico sorto intorno agli incendi, l’attenzione di forze dell’ordine e magistratura, i sopralluoghi e gli approfondimenti delle istituzioni, li abbiano indotti a rendersi gradualmente meno “visibili”.

E allora che farne dei rifiuti se non possono più essere bruciati? La risposta criminale in un primo momento è stata l’abbandono nei capannoni: stesso risultato ma nessun allarme sociale, un’evoluzione del fenomeno che garantisce basso profilo. Ma non basta perché le forze dell’ordine hanno intuito anche questo cambiamento di strategia. E così ecco che emerge prepotentemente la scelta della rotta estera. Il traffico illecito transfrontaliero comincia a far viaggiare sempre più ingenti quantità di rifiuti dall’Italia verso paesi esteri che hanno sottovalutato il fenomeno e non hanno predisposto adeguati strumenti di prevenzione e controllo. Tre i vantaggi fondamentali: basso costo di manodopera, presenza di un sistema normativo favorevole e assenza di un apparato di polizia e giudiziario efficace.

Non si può non ricordare il maxi sequestro ad opera dei NOE di Milano del dicembre 2019 quando è stata bloccata una spedizione illecita verso la Bulgaria di 17 vagoni ferroviari per un totale di 815 tonnellate. Il metodo è sempre lo stesso: bolle fasulle che certificano una tipologia di materiale diversa da quella effettivamente trasportata. E molti altri sono i sequestri, di entità minore, fatti a trasporti illeciti su camion.

I rifiuti, quindi, quando non bruciano o non vengono abbandonati, viaggiano senza sosta approfittando delle difficoltà di armonizzare norme e strumenti a livello internazionale e della sottovalutazione del fenomeno da parte delle istituzioni territoriali. In particolare regione Lombardia  che è diventata negli anni protagonista di numerose ed importanti indagini e inchieste giudiziarie per traffico illecito di rifiuti. Un allarme che ancora non trova risposte adeguate in termini di controlli preventivi e che al contrario di recente ha visto un calo di attenzione da parte di Arpa (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) che, per problemi di contenzioso con i paesi esteri sulla responsabilità del carico illecito, ha scelto di ridurre le verifiche preventive segnalando direttamente i sospetti illeciti alla Procura.

Più in generale si attendono da tempo a livello nazionale pene più severe per i reati ambientali che possano seriamente diventare un potente deterrente. 

Ad oggi i rifiuti, che brucino o viaggino, continuano ad essere uno dei più redditizi e meno rischiosi settori di investimento delle organizzazioni criminali.

D’altro canto “la monnezza è oro” diceva Perrella e sono trascorsi 29  anni…  ma che fretta c’è?

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