di Nando Dalla Chiesa

E io che li prendevo sul serio! Vedete, mi capita spesso di ascoltare con perplessità i discorsi leghisti. Specialmente alcuni. Però avevo sempre pensato che chi li fa ci credesse davvero, che è il più grande complimento che si possa fare a un politico, leader nazionale o consigliere comunale che sia. Finché l’altra sera è arrivata lei, la consigliera comunale di Corsico Maria Riggio, e mi sono dovuto ricredere. La consigliera infatti ci ha ammonito con il suo linguaggio elegante che “non è che il primo pincopalla che arriva decide quello che si deve fare”.

Voleva così contestare l’idea del suo sindaco di intitolare l’aula consiliare a Pietro Sanua, il sindacalista dei venditori ambulanti ucciso nel 1995 a colpi di lupara (a Corsico!) perché cercava di mettere ordine nel guazzabuglio di abusi, clientelismi e interessi mafiosi che imperversava allora nei mercati di Milano e provincia. Perché mi sono ricreduto? Perché pensavo che chi dice in Padania “padroni a casa nostra” si battesse poi con il pugnale tra i denti contro chi gli porta in Padania gli omicidi con lupara, che certo non fanno parte delle tradizioni locali. Che difendesse a spada tratta i buoni costumi civili del Nord dalla invasione (che c’è, su questo i leghisti avrebbero ragione, se lo dicessero) di mafiosi e ‘ndranghetisti. Pensavo che volesse onorare la memoria delle vittime degli invasori, specialmente se la vittima era “uno che si alza alle 5 del mattino per andare a lavorare”; e, ancora, immaginavo che lo facesse di propria iniziativa, senza nemmeno aspettare “il primo pincopalla che arriva”.

E invece la consigliera Maria Riggio ci ha fatto capire che quel “padroni a casa nostra” è uno scherzo, o forse vale per qualcuno e non per altri, forse vale meno per i portatori di lupara, contro i quali avrebbe potuto esprimere una condanna esplicita, visto che furono loro a uccidere Sanua. Invece, certo involontariamente, ha fatto capire a quei signori che contro di loro non si alzeranno barricate. Anzi, ci si alzerà in piedi a protestare se un’aula consiliare sarà dedicata a una loro vittima. Lo ha fatto senza rendersene conto, ripeto, che in politica non è peccato veniale. Il guaio è che i portatori di lupara, come i portatori di taniche di benzina, le cose le decifrano. Probabilmente le decifrano male, fatto sta che poi i fatti danno loro sempre ragione. Così dilagano impunemente, come ci spiegano ancora una volta le brillanti operazioni di forze dell’ordine e magistratura di questi giorni, con la diagonale lombarda della mafia che ne è stata illuminata, da Varese a Mantova. Peccato che, su un tema come questo, di interventi nei consigli comunali se ne sentano pochini; in particolare, chissà perché, nei comuni dove i mafiosi controllano più voti. Dove i padroni di casa sono diventati loro sudditi.

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