di Beatrice Botticini
Che ruolo possono svolgere i diversi linguaggi artistici nel contrasto alle mafie e alla corruzione? Questo il tema con cui l’attore Fabrizio Gifuni si è confrontato durante il seminario online organizzato da Libera nell’ambito della XXVI Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. La cultura popolare fornisce elementi per riflettere sul tema, rispecchia la realtà e gli avvenimenti storici, interpretandoli e rendendoli più facilmente fruibili al pubblico. Negli ultimi anni si è assistito a una crescita di produzioni artistiche, da film italiani a serie tv straniere, che si confrontano con le rappresentazioni della mafia e delle vite dei protagonisti dell’antimafia. Nel film “Prima che la notte”, Gifuni interpreta il giornalista e drammaturgo siciliano Giuseppe “Pippo” Fava, ucciso nel 1984 da sicari di Cosa Nostra. Sul giornale “I Siciliani” di cui era direttore, Fava pubblicò articoli in cui denunciava la presenza mafiosa nella sua città e la collusione della classe politica e imprenditoriale (con particolare riferimento ai quattro cavalieri del lavoro di Catania).
Secondo Gifuni, il cinema è parte attiva nella costruzione di una cultura contro le mafie, in quanto può generare una memoria collettiva che aiuta ad essere cittadini consapevoli: “Gli attori sono gli ultimi depositari dell’arte della memoria e i film ne diventano serbatoi”. Nella recitazione teatrale, un attore deve memorizzare alla perfezione un testo; in questo modo attraversa la vita di un personaggio per un determinato lasso di tempo (il concetto di pereživanie o reviviscenza di Stanislavskij). “Memorizzare un’intervista di Pippo Fava, un’ora del memoriale delle lettere di Moro, o un’ora de ‘Lo straniero’ di Camus, ti rende una persona diversa” continua Gifuni. Questa esperienza viene poi donata al pubblico, che si lascia pervadere dalle immagini e dialoghi sulla scena o sullo schermo.
Ogni rappresentazione è frutto di scelte stilistiche che comportano delle responsabilità, sia che si tratti di personaggi fittizi o realmente esistiti. Quando si porta in scena un’esistenza intellettualmente ricca e segnante come è stata quella di Fava, si ridà corpo e voce alla persona, alle sue idee e alla sua missione, e le si proietta nella frammentata società contemporanea. Un’eredità da maneggiare con cura, che permette di rendere viva la memoria, risvegliandola attraverso le emozioni. Grande attenzione va peraltro data alla qualità dell’opera di cui si sta fruendo, considerata la facile trappola della spettacolarizzazione (con conseguente perdita di accuratezza storico-sociale) in cui sono inciampati diversi film e serie tv che raccontano di criminalità organizzata.
“Cinema e teatri sono e devono restare dei luoghi di spettacolo e intrattenimento” prosegue l’attore “ma intrattenimento non significa addormentare e consolare il pubblico quando questo ha finito di produrre e consumare”. L’esperienza culturale non deve limitarsi al mero tempo libero né essere relegata alla categoria dello svago: deve far riflettere, coinvolgendo lo spettatore con tutti i suoi sensi. I riflettori sul palcoscenico sono puntati su situazioni e schemi di pensiero che possiamo ritrovare (e dobbiamo ricercare) nella nostra quotidianità. L’arte diventa così portatrice di istanze politiche e sociali, e le parole in scena misurano la distanza tra la storia e il presente. E queste sono le domande che ci poniamo di fronte al messaggio artistico: queste istanze sono attuali? Ha senso occuparsene ancora? Quali effetti possono avere sulla nostra vita?
L’opera d’arte è un mezzo di trasmissione della memoria che supera l’autore o il protagonista in sé. In quanto esperienza, può essere confinata a uno spazio-tempo determinato, ma può anche godere di una fruizione maggiore grazie alla tecnologia: una rappresentazione teatrale è volatile rispetto a una pellicola cinematografica, ma entrambe contribuiscono alla costruzione di un immaginario e hanno il potere di suscitare reazioni nello spettatore-cittadino.
I linguaggi artistici “hanno il ruolo educativo di trasmettere e tenere viva la memoria. L’arte è un bene della comunità, contribuisce alla crescita di una cittadinanza sana” conclude Gifuni. In una società spesso accusata di avere la memoria corta, l’arte può salvarci dall’oblio, o peggio dall’assuefazione, e donarci strumenti per leggere il presente grazie alle parole di chi ci ha preceduti.