di Beatrice Botticini

Il 23 maggio di quest’anno ricorrerà il 29esimo anniversario della strage di Capaci, in cui furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quest’anno la commemorazione sarà affidata all’arte: il progetto Spazi Capaci/ Comunità Capaci, prodotto dalla Fondazione Falcone e dal Miur, prevede la realizzazione di quattro opere collocate nella città di Palermo, in luoghi simbolo nella lotta alla criminalità organizzata. All’entrata dell’edificio in cui viveva il giudice Falcone verrà installata “L’attesa”, una scultura realizzata dall’artista trentino Peter Demetz, col quale abbiamo avuto un interessante colloquio.

Le Sue opere sono sculture lignee estremamente dettagliate che raffigurano persone in atteggiamento riflessivo poste in spazi vuoti. Da dove nasce la scelta di prediligere questo metodo di rappresentazione?

Più che di una scelta da parte mia, si tratta di un’evoluzione dovuta alla mia persona: ciò che mi interessa, ciò che cerco, lo ritrovo nelle mie opere. Le persone che raffiguro sono in attesa, in un momento fermo, le percepisco sempre come persone che vivono un momento cosciente. Non è un momento superficiale che passa velocemente, sono ferme per gustare, per sentire e vivere questo attimo, che potrebbe significare qualsiasi cosa, dipende dal nostro immaginario. Vivere momenti in modo cosciente è un aspetto centrale della vita. Poi penso che in generale tutti gli artisti, in tutte le forme d’arte, alla fine cerchino la verità. Una verità che non riusciamo mai a definire del tutto, a raccogliere o a captare pienamente. Ma in tutte le forme d’arte, anche nella danza, nella letteratura, alla fine penso che si cerchi una forma di verità.

In che modo questi concetti verranno trasposti nell’opera “L’attesa” per l’anniversario del 23 maggio? Qual è l’ispirazione dietro quest’opera?

“L’attesa” è un titolo che si addice alle mie opere in generale, molte delle quali rappresentano una riflessione, un aspettare, un attendere. Credo che Alessandro de Lisi, il curatore del progetto Spazi Capaci, avesse in mente questo: posizionare una persona che sta aspettando il ritorno davanti all’entrata dell’edificio dove Falcone e sua moglie hanno vissuto. “L’attesa” è anche il simbolo della rimanenza in vita dell’operato del giudice. La scultura avrà l’aspetto di una donna sui trent’anni. Il punto importante per me è sì un’attesa, ma ancora di più una presenza: è una persona che è presente su quel luogo; questo simboleggia la presenza nella società di personaggi importanti quali Falcone e Borsellino e tantissimi altri che lavorano per il bene e per la giustizia. Questa figura sarà un bassorilievo a grandezza naturale, non si tratterà di una scultura a tuttotondo. Le persone che le passeranno davanti avranno quindi la sensazione di incontrare da un lato una superficie piatta irriconoscibile, poi avvicinandosi e arrivandoci di fronte vedranno una scultura quasi tridimensionale. Chi esce dall’edificio vedrà una sagoma scura, che poi si trasformerà dall’altro lato in una presenza. È un continuo cambio tra presenza e non-presenza: questo dovrebbe farci riflettere, chiediamoci fino a quale punto noi siamo presenti quando si tratta di combattere per la giustizia. È una presenza che attende che anche noi ci mettiamo in gioco. L’arte secondo me non può risolvere i problemi, però può darci uno spunto, una motivazione, il coraggio di metterci in gioco.

Come pensa si relazioneranno i passanti con quest’opera? Quale sarà l’impatto sul luogo?

Solitamente chi visita le mie mostre è attratto da una forma di estetica, dal fatto che le sculture sembrano vere, poiché sono realistiche. In questo caso non ci sarà l’effetto del tuttotondo: questo potrà provocare un momento di straniamento, per cui chi vi passa davanti deve fermarsi a guardare, e capire. I passanti inizieranno a relazionarsi con la figura tramite questo istante di estraniazione. È il punto iniziale in cui spero che inizino a immedesimarsi in questa scultura pensando: “E se fossi io qua ad attendere? Oppure c’è un altro posto dove posso attendere?”. O ancora meglio: “Dove posso mettere la mia presenza in questo momento?” Questo sarebbe l’ideale.

Quale crede sia il ruolo che l’arte può svolgere nel contrasto alle mafie e alla criminalità organizzata?

Essendo universale, l’arte può coprire tutto, dalla provocazione al divertimento, dall’informazione all’estraniazione. Dipende all’artista, è chi crea l’opera che poi sceglie di mettersi in gioco anche politicamente oppure no. L’arte può tutto, senz’altro, e lo deve fare. È l’artista che dà il ruolo all’arte. Personalmente, abitando lontano da Palermo, in una zona quasi idilliaca anche da un punto di vista paesaggistico, ho vissuto in modo diverso i fatti del 23 maggio. Ma si tratta di una circostanza importantissima, e qui sì che l’arte può giocare un ruolo fondamentale: riportare la consapevolezza di certi temi nella società, dimostrandoli, esponendoli, lavorandoci su. Questa iniziativa ideata da De Lisi e dalla Fondazione Falcone riesce a riportare al centro dell’attenzione un argomento di cui tutti abbiamo sentito parlare ma forse non abbiamo la coscienza di metterci in gioco. Dobbiamo portare la nostra presenza e la nostra attenzione verso questi temi. L’opera “L’attesa” non è altro che un aspettare che nasca una presenza ancora più forte in opposizione agli illeciti e alle ingiustizie che distruggono la società.

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