di Giorgia Venturini

“No l’incubo non è finito, la notte mi sveglio ancora”. Chissà se sarà mai possibile lasciarsi tutto alle spalle per Carolina Girasole, l’ex sindaca di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, finita nel tritacarne giudiziario per reati che non ha commesso. Sette anni di accuse infondate e di notti insonni. Alla fine la giustizia le ha dato ragione: il fine aprile la Cassazione l’ha assolta in via definitiva dall’accusa di voto di scambio e turbativa d’asta. “Eppure rimane l’amarezza anche dopo l’assoluzione, ci vuole tempo!”, spiega a Stampo Antimafioso Carolina Girasole. Perché dopo anni spiegare cosa sia successo è ancora impossibile: “So solo che c’è stato un errore. Che qualcuno ha voluto credere a un’ipotesi. Che sia stato un complotto? Chi ha voluto tutto questo? Non lo so. So solo che sono finita nella macchina del fango. Rispondere a queste ultime domande è il tassello che mi manca”.

Bisogna tornare indietro nel tempo: è il 2007 quando a Carolina Girasole chiedono di candidarsi alle elezioni comunali. Non è una scelta semplice anche perché il Comune dal 2003 al 2006 è stato commissariato e il consiglio comunale successivamente eletto dura solo otto mesi. Così i cittadini di Isola di Capo Rizzuto sono richiamati alle urne nel 2008 dopo un altro breve periodo di commissariamento. “Sono una biologa, lavoro in un laboratorio d’analisi fuori da Isola. Vivo qui con la mia famiglia conosco bene il paese”, racconta Carolina. Che poi continua: “All’inizio rifiuto la proposta. Ma insistono, così ci ripenso e accetto. Qualche settimana dopo vinciamo le elezioni”. Appena mette piede nelle sale del municipio capisce che la macchina comunale non è ben collaudata: “L’ente era completamente disorganizzato, la trasparenza era completamente assente. Così noi della giunta decidiamo di puntare immediatamente su legalità e trasparenza, cercando di rendere gli uffici tutti efficienti”. Già dai primi giorni di amministrazione Carolina Girasole ha le idee chiare: punta sul dare servizi ai cittadini secondo regole. Successivamente l’obiettivo è tutelare il bene comune: dal rinnovo delle convenzioni dei parchi eolici alla riqualifica dei beni confiscati. Ma anche l’attenzione straordinaria alle convenzioni stipulate con i vari villaggi turistici, tutela dell’ambiente e quindi lotta all’abusivismo. Tutti temi che si scontrano però con parte degli interessi del territorio: “A Isola era difficile pronunciare la parola ‘ndrangheta perché concentrarsi su un lavoro straordinario dei beni confiscati non era cosa consueta. Anzi, alcuni cittadini ci accusavano di rovinare l’immagine del paese e quindi allontanare i turisti”.

È il 2010 quando l’ex sindaca capisce che l’amministrazione non è più ben gradita: arrivano le prime minacce di morte e i primi atti intimidatori. “Noi però decidiamo di non scappare, facciamo una manifestazione per far capire alla popolazione che non ci piegavamo agli interessi di alcuni singoli ma tutelavamo gli interessi della comunità. Ma intanto io finisco sotto tutela: le minacce di morte continuano ad arrivare e l’aria inizia a farsi pesante”. Come se non bastasse nel 2010 nasce un blog anonimo che punta il dito contro Carolina Girasole: si avvia così la macchina del fango. Sotto tutela l’ex sindaca riesce a finire il mandato e nell’ultimo consiglio comunale riesce ad affidare i terreni confiscati alla ‘ndrangheta alla Cooperativa Terre joniche di Libera tramite un bando pubblico. Un importante traguardo che la spinge a ricandidarsi alle elezioni successive “ma nessuno vuole far parte della mia lista civica. Finisco così tra i consiglieri di minoranza”.

La sua vita cambia completamente la notte del 3 dicembre del 2013 quando la Guardia di Finanza bussa a casa sua: “Con un atto ufficiale del giudice io e mio marito finiamo ai domiciliari con l’accusa di scambio di voto: secondo il pubblico ministero avrei fatto un accordo con il clan Arena, la cosca di ‘ndrangheta presenta a Isola”. Carolina Girasole è convinta che la sua buona fede sarà presto riconosciuta, che si sia trattato di un errore e che presto tutto si risolverà. Dopotutto lei non si è mai tirata indietro. “Inizia a salirmi lo sconforto quando inizio ad ascoltare le intercettazioni che sono riuscita a recuperare solo dopo giorni: capisco che la trascrizione non è attinente. Mi sale lo sconforto vero e per la prima volta anche la paura”. All’ex sindaca per due volte vengono confermati gli arresti domiciliari. Sconforto e paura, quelli veri, arrivano quando lo Stato si schiera contro di te. In poco tempo dunque la macchina del fango, partita da un blog anonimo di quartiere, si diffonde sulle testate giornalistiche locali e nazionali e i magistrati della Direzione distrettuale antimafia iniziano a non crederti.

Piano piano però si intravede la luce in fondo al tunnel: “Nel 2014 esco dagli arresti domiciliari e inizio insieme al mio legale a ricostruire gli atti e a difendermi in tribunale. Penso di aver risentito le intercettazioni centinaia di volte”. A giugno dello stesso anno inizia il processo. Nel settembre del 2015 arriva l’assoluzione di primo grado: il tribunale di Crotone riconosce la totale estraneità ai fatti. Il resto è cronaca giudiziaria: il processo in appello dura tre anni. La seconda sentenza di assoluzione arriva nel maggio del 2019. Poi il ricorso in Cassazione, i cui giudici mettono definitivamente la parola fine alla macchina del fango contro Carolina Girasole. Dopo l’assoluzione in via definitiva l’ex sindaca è tornata a respirare. “Come se il mio cuore fosse tornato alla posizione normale, ma ora mi ritrovo a convivere con delle patologie che prima non avevo. Ci vorrà ancora tempo perché questi sette anni non me li restituirà nessuno”. Quello che forse fa più male è che in pochi le hanno chiesto scusa in via ufficiale: “L’unico ad averlo fatto pubblicamente è stato Nando dalla Chiesa. Dagli altri o privatamente o il silenzio”.

In tanti a Isola però non hanno mai dubitato della sua buona fede, non l’hanno mai abbandonata. Anche perché qui il vero scossone è arrivato con l’operazione antimafia “Jonny” nel maggio del 2017 che ha svelato gli affari della cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto nella gestione del centro di accoglienza dei migranti di Sant’Anna. Nel giugno del 2020 la sentenza di primo grado ha portato a delle condanne. Ieri 9 giugno una parte degli imputati è stata condannata anche in appello con un inasprimento delle pene. “A Isola la volontà del cambiamento c’è. La svolta però deve essere culturale: il percorso è ancora lungo. Anche perché tanti cittadini preferiscono ancora il silenzio”, conclude Carolina Girasole.

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