di Sara Venturini
La Direzione Investigativa Antimafia (Dia) mercoledì 22 settembre ha consegnato al Parlamento la relazione relativa al secondo semestre (luglio-dicembre) del 2020. Il dossier di 530 pagine si articola in 14 capitoli, ognuno dei quali è dedicato all’analisi delle varie organizzazioni criminali e delle sue collocazioni di tipo geografico e settoriale.
Grande importanza all’interno della relazione viene data agli effetti della pandemia; la tendenza delle organizzazioni criminali “ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale ‘sano’ si è ulteriormente evidenziata” e che le organizzazioni “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi che giungeranno a breve grazie alle iniziative del Governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria” inoltre si legge che “delle difficoltà finanziarie delle imprese potrebbero approfittare le organizzazioni malavitose”.
Collegato a quest’ultimo punto dai capitoli 2,3,4 e 5, che si concentrano in modo particolare sulla criminalità organizzata calabrese, sulla criminalità organizzata siciliana, su quella campana e infine su quella pugliese e lucana e che ne analizzano nello specifico le forme di criminalità presenti nelle diverse province, risulta che Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta lavorano sempre più con i colletti bianchi, “sostituendo l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione nel sistema imprenditoriale”
Un’altra importante questione che emerge dalla relazione della Dia è che la ‘Ndrangheta “non appare più così monolitica ed impermeabile alla collaborazione con la giustizia da parte di affiliati nonché di imprenditori e commercianti, sino a ieri costretti all’omertà per il timore di gravi ritorsioni”.
La relazione esamina i sodalizi attivi sul territorio nazionale nel narcotraffico, nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nella tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e del lavoro irregolare. Tra i clan più strutturati si segnalano quelli nigeriani, albanesi e cinesi per capacità organizzativa e per spregiudicatezza criminale. L’attenzione va anche posta sui gruppi formati da elementi provenienti dall’est Europa e dai Paesi ex sovietici, nonché dal Pakistan e in generale del Sud Est asiatico, che “premono per trovare il proprio spazio nel panorama delinquenziale italiano”.
Oltre ad analizzare le organizzazioni straniere in Italia il dossier si concentra anche sulla presenza delle organizzazioni criminali italiane all’estero, laddove la ‘Ndrangheta è prima fra tutte, dalla cui si evince che “nei Paesi esteri la mafie italiane preferiscono ricorrere alla corruzione piuttosto che alla violenza per non destare allarme sociale”.
Infine, ma non per importanza, dai dati presentati dalla relazione emergono sequestri alle organizzazioni criminali tre volte superiori di quanti ne sono stati sequestrati nei primi sei mesi dell’anno.
Dai 42 milioni del primo semestre si è passati ai 181 milioni del secondo.