di Amedeo Paparoni

Meno uno, ne rimangono sette. Il 23 di ottobre il potente narcotrafficante colombiano Dario Antonio Úsuga David, detto Otoniel, è stato arrestato a Necoclí, vicino al confine colombiano con Panama. Otoniel è considerato uno dei leader del Clan del Golfo ed è accusato di svariati crimini tra cui omicidio, associazione per delinquere e narcotraffico. Il presidente colombiano Iván Duque Márquez ha rivendicato l’importanza dell’arresto definendolo «un successo paragonabile alla caduta di Pablo Escobar», il narcotrafficante colombiano più noto di sempre.

Tuttavia rispetto ai primi anni novanta i cartelli colombiani, per quanto feroci e pericolosi, non sono più le organizzazioni egemoni nel narcotraffico internazionale. Di fatto Otoniel era l’unico colombiano tra i super ricercati dalla DEA (agenzia federale antidroga statunitense), al quarto posto nella lista dei fuggitivi più pericolosi. Davanti a lui troviamo i messicani Rafael Caro Quintero e Ismael Zambada García, sulle cui teste pendono rispettivamente una taglia di 20 e 15 milioni di dollari, e l’asiatico Kenny Jing Ang Chen. Nella lista sono presenti altri due messicani Nemesio Oseguera Cervantes, detto El Mencho, e Jesus Alfredo Guzmán Salazar, figlio di Joaquín “El Chapo” Guzmán. I narcos messicani infatti, sfruttando i grandi arresti dei primi anni novanta ai danni dei signori della droga colombiani e gli oltre 3000 kilometri di confine tra Messico e USA, hanno conquistato un ruolo chiave nello scacchiere del narcotraffico internazionale, crescendo in ricchezza e potere.

Su Quintero, oggi sessantanovenne, sono stati scritti libri, composti decine di narcocorridos e girate serie tv. Si racconta che abbia abbandonato gli studi dopo la prima elementare e che all’età di tredici anni, rimasto orfano di padre, abbia dovuto farsi carico dei dieci fratelli lavorando come bracciante prima e come autista di camion poi. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo del narcotraffico la sua carriera criminale fece il salto di qualità quando, nel 1984, escogitò un metodo per industrializzare la coltivazione della marijuana. Quintero, dopo aver guidato il cartello di Guadalajara con Miguel Ángel Félix Gallardo ed Ernesto Fonseca Carrillo, e aver condotto una vita di sfarzi e feste, fu arrestato nel 1985 con l’accusa di aver partecipato al sequestro, alla tortura e all’omicidio dell’agente della DEA Enrique “Kiki” Camarena. Nel 2013, per un cavillo burocratico, è stato rilasciato e si è dileguato prima che le autorità messicane potessero emettere un nuovo mandato di cattura. Tra il 2016 e il 2018, seppur latitante, ha rilasciato due videointerviste, rispettivamente alla rivista Proceso e all’Huffington Post, in cui, pur scusandosi con i familiari dell’agente Camarena, si professa innocente e sostiene di aver scontato il suo debito con la giustizia. Inoltre respinge le accuse di aver riconquistato un ruolo nel Cartello di Sinaloa al fianco di Ismael Zambada García, detto El Mayo, che però ammette di avere incontrato dopo il suo rilascio.

Non la pensa allo stesso modo la DEA che, oltre che a Quintero, dà la caccia anche al settantatreenne Ismael “El Mayo” Zambada. Questi è un uomo molto scaltro che, mantenendo un basso profilo e prendendo diverse precauzioni, per decenni è riuscito a contrabbandare cocaina, eroina e marijuana negli Stati Uniti senza mai essere arrestato. È considerato la guida del cartello di Sinaloa, ruolo in passato condiviso con Joaquín “El Chapo” Guzmán, dal 2016 in carcere.

Zambada ha mantenuto un forte prestigio criminale benchè nel 2009 suo figlio Vicente abbia iniziato una collaborazione con la giustizia a seguito del suo arrestato ed estradizione negli Stati Uniti.

La potenza militare dell’organizzazione di El Mayo è stata testimoniata da una serie di sparatorie verificatesi a Culiacán nell’ottobre del 2019. Le violenze erano iniziate a seguito dell’arresto del figlio di El Chapo, Ovidio Guzmán, da parte dell’esercito e della Guardia Nazionale, e furono tali da costringere le autorità messicane a rilasciare il rampollo dell’ex compare di El Mayo. Viene da chiedersi se Ovidio, una volta rilasciato, sia andato a festeggiare con il fratello Jesus Alfredo, all’ottavo posto nella classifica dei ricercati, accusato di associazione a delinquere finalizzata all’importazione di sostanze stupefacenti negli Stati Uniti.

Non è bastata una taglia di 10 milioni di dollari per catturare El Mencho. Il cinquantacinquenne messicano ex poliziotto è considerato il capo del Cartello di Jalisco Nueva Generación. Ha mosso i suoi primi passi nel narcotraffico al fianco di Nacho Coronel, il “re dei cristalli”, e del futuro alleato e cognato Abigael González Valencia. Sui social la sua organizzazione pubblica video in cui decine di mezzi blindati e uomini armati inneggiano alla sua leadership. El Mencho è molto attento anche al consenso sociale: durante i primi mesi della pandemia ha distribuito alla popolazione pacchi alimentari accompagnati da un biglietto che riportava la scritta “El Señor de los Gallos, Mencho con el Pueblo”.

Gli altri tre ricercati sono il quarantottenne Kenny Jing Ang Chen, accusato di associazione a delinquere per spaccio di eroina, trasporto di armi e impiego di minori nel traffico di droga, il quarantasettenne domenicano Julio Alex Díaz, secondo la DEA reo di associazione a delinquere finalizzata alla distribuzione di eroina, fentanyl e cocaina e il ventiquattrenne Rommel Pascua Cipriano, accusato più genericamente di “distribuzione”.

Anche se l’arresto di Dario Úsuga e l’annuncio della sua imminente estradizione non possono che essere delle buone notizie, è evidente che la lotta al narcotraffico dovrà attraversare un percorso ancora lungo e tortuoso le cui tappe non potranno prescindere dal Messico, terra natale e base operativa dei signori della droga che oggi guidano la grottesca classifica degli uomini più ricercati dalla DEA.

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