di Alice Galbusera

La lista di vittime innocenti di mafia è davvero lunga, ma le biografie che raccoglie al suo interno raccontano luoghi, vicende e battaglie differenti. La storia di Michele Cianci parla di sani principi e alti valori. Commerciante cerignolano poco più che quarantenne, fu ucciso il 2 dicembre 1991 dalla mafia cerignolana, mentre stava chiudendo il negozio di armeria di cui era proprietario.

La mattina di quel giorno, aveva assistito a un’aggressione nel centro di Cerignola ai danni di un anziano che stava ritirando la propria pensione. Nell’indifferenza più totale del resto dei compaesani, Michele Cianci decise di intervenire a difesa del povero signore e, sparando dei colpi in aria, fece scappare i due scippatori. Successivamente si recò presso il commissariato di polizia per denunciare l’accaduto. La sera, mentre stava chiudendo il suo negozio, fu assalito da quattro ragazzi che volevano rapinarlo. Cercò di difendersi, ma prima venne colpito al capo con una chiave inglese e poi gli spararono alle gambe, facendolo cadere, sbattere la testa e morire.

Le autorità collegarono subito l’omicidio dell’uomo allo scippo che aveva sventato quella mattina, ma questa pista fu invalidata dopo anni dalla testimonianza di due collaboratori di giustizia, che rivelarono la vera motivazione dell’omicidio. La tragedia che lo riguarda va inquadrata in un periodo molto particolare per la criminalità organizzata cerignolana. Siamo negli anni in cui, all’interno del clan Piarulli, ancora oggi ai vertici della mafia territoriale, si plasmò una struttura gerarchica su tre livelli, nata dal sodalizio tra Giovanni Ferraro, Giuseppe Mastrangelo e i fratelli Mario e Michele Piarulli.

All’apice del sistema si collocarono i Piarulli, che impartivano dall’alto direttive a tutta l’organizzazione cerignolana; successivamente, si posizionarono i “grandi”, i quali dirigevano le attività criminali a Cerignola, tra cui Giovanni Ferraro e Giuseppe Mastrangelo; al livello più basso, invece, operavano i “piccoli”, ossia coloro che, divisi in squadre con competenze o zone specifiche, gestivano le diverse attività criminali sotto la guida dei “grandi”. 

Questa struttura rimase in equilibrio fino al 1991, ma poi entrò in crisi a causa di una crescente tensione tra “grandi” e “piccoli”. I “piccoli”, soliti a liberarsi delle armi utilizzate dopo ogni colpo, per evitare che gli inquirenti scoprissero dei collegamenti tra diversi delitti, necessitavano di un nuovo arsenale per difendersi da possibili attacchi. Dunque, decisero di rifornirsi nel negozio di Michele Cianci, famoso in città per essere ben equipaggiato, procurando la morte del commerciante e ulteriori tensioni all’interno del sodalizio.

La confessione dei due collaboratori di giustizia non portò soltanto alla scoperta del reale motivo della morte del commerciante, ma consentì alle autorità competenti di inserirla nel maxiprocesso “Cartagine” del 1994, durante il quale si arrivò a un esito del tutto inedito per la criminalità cerignolana. Per la prima volta nella storia, infatti, venne riconosciuta la natura mafiosa di un gruppo criminale di Cerignola: il clan Piarulli-Ferraro-Mastrangelo. 

A distanza di trent’anni dalla morte di Michele Cianci, la sua storia non è stata dimenticata. Il 10 giugno scorso, infatti, è stato inaugurato a Cerignola un bene confiscato alla criminalità organizzata locale che porta il suo nome. Si tratta di un terreno di circa sette ettari in contrada San Giovanni in Zezza, gestito dall’Associazione Temporanea di Scopo “Le terre di Peppino Di Vittorio” composta dalla cooperativa sociale Altereco di Cerignola, in qualità di ente capofila, dalla cooperativa sociale Medtraining di Foggia e il Centro di Servizio al Volontariato di Foggia.

Attraverso un’esperienza di agricoltura sociale, in questo luogo, si offre la possibilità a persone che provengono da situazioni di svantaggio di (re)inserirsi nella società e, in particolare, nel mercato del lavoro, prendendosi cura della terra e di sé stessi. Allo stesso tempo, si restituisce alla comunità cerignolana un pezzo di città, di cui era stata privata a causa del soggiogamento mafioso. Ciò viene fatto attraverso la promozione di una serie di obiettivi-valori che donano a questa terra un nuovo ossigeno: la legalità, l’antimafia sociale, l’economia sostenibile, l’inclusione lavorativa e il riscatto sociale.

Per sostenere il progetto e diventare attivi promotori di questi ideali, è possibile comprare i prodotti ottenuti dalle coltivazioni di questo terreno: il vino rosso “Rosso Libero” dedicato alla memoria del commerciante cerignolano e le olive da tavola “Bella di Cerignola”, una qualità del frutto tipica della zona. Essi possono essere acquistati anche congiuntamente ad altri prodotti liberi dalle mafie in un pacco realizzato per il periodo natalizio. 

Il terreno “Michele Cianci” diventa così un luogo dove si intrecciano molteplici storie. Storie di mafia. Storie di vita personale. Storie di lavorazione dei diversi frutti donati dalla terra. Storie di progetti. Storie di incontri. Ogni giorno, però, viene soprattutto coltivata una nuova storia. Una storia che, da una parte, guarda al passato, alla memoria di Michele, mentre dall’altra, guarda al futuro, ai frutti futuri che i suoi insegnamenti produrranno. Ai frutti maturi della solidarietà e della lotta contro le ingiustizie.

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