Di Beatrice Botticini
La polizia municipale di Napoli ha recentemente individuato circa 15 mila luoghi nelle vie della città che omaggiano camorristi e rappresentanti di clan: si tratta di altarini, fotografie e murales dedicati a membri dell’organizzazione criminale. L’indagine, guidata dall’unità operativa antiabusivismo della polizia municipale, prevede il controllo di ogni strada cittadina per segnalare le rappresentazioni collegate alla criminalità organizzata. Completato il censimento, il prefetto dovrà poi decidere come intervenire per rimuovere tali simboli. Non si tratta di un compito semplice: gli omaggi ai boss sono spesso celati in cappelle votive preesistenti, o accostati a statue di santi di cui il centro storico è ricco. Inoltre, dopo essere stati cancellati, non è raro che i murales vengano ridipinti su altri muri, o che al loro posto compaiano scritte.
“Il fatto che quei murales continuino ad apparire è un guanto di sfida. Bisogna continuare a denunciare” afferma Francesco Borrelli, consigliere regionale campano di Europa verde. “La rimozione di scritte, murales ed altarini della criminalità è soltanto il primo passo verso l’estirpazione della cultura e della propaganda camorristica”.
Lo scorso gennaio, durante l’apertura dell’anno giudiziario, il procuratore generale di Napoli Luigi Riello sottolineò l’impegno per rimuovere gli altarini alla memoria di rapinatori e boss. Questo appello venne accolto dall’allora prefetto, Marco Valentini, che decise di cancellare alcuni tra i murales più ingombranti e numerosi altri simboli sparsi nella città.
A febbraio fu rimosso per primo il murale dedicato a Luigi Caiafa, ucciso nel 2020 a diciassette anni mentre tentava una rapina. Poco tempo dopo la cancellazione del dipinto, sui muri del quartiere iniziò ad apparire la scritta “Luigi Caiafa vive”: un’azione che la Direzione Investigativa Antimafia ha definito come una vera e propria “sfida allo Stato”. Si tratta infatti di una pratica dei clan per sottolineare la loro costante presenza nella zona. A marzo venne smantellato l’altarino (comprendente statua e targa) dedicato al capoclan Domenico “Mimì dei cani” Russo, ucciso nel 1999 in una faida tra clan.
Questi altarini rappresentano luoghi di culto e di riferimento per affiliati dei clan, e svolgono una funzione di propaganda che rafforza il potere dell’attività camorrista. Un caso eclatante riguarda Emanuele Sibillo, capo della “paranza dei bambini”, un clan composto da ragazzi giovanissimi. In seguito alla sua uccisione avvenuta in un agguato nel 2015, Sibillo divenne un’icona, e la sigla ES17 (iniziali del nome e il numero della diciassettesima lettera dell’alfabeto, la S del clan Sibillo) iniziò a comparire su muri ed edifici, unita a ritratti del giovane boss.
Nel palazzo in cui viveva, era presente un’edicola votiva dedicata alla Madonna: i genitori la trasformarono in un altarino alla memoria del figlio, collocando l’urna con le ceneri e un busto che lo raffigurava. Questa operazione venne eseguita in assenza di permessi e intimidendo gli altri condomini, in quella che i PM hanno catalogato come una “condotta con modalità tipicamente mafiose”. I genitori di Sibillo sono ora indagati dalla Direzione Distrettuale Antimafia per estorsione, violenza privata e associazione mafiosa in concorso. La procura di Napoli ha infatti scoperto che il clan era solito richiedere il “pizzo” davanti a tale altarino, facendo inginocchiare le vittime di racket in segno di sottomissione. Per gli inquirenti, l’edicola votiva rappresentava “un simulacro di potere camorristico, chiaro segnale di marcatura territoriale voluto dal clan che l’ha eretto”. L’altarino è stato rimosso in aprile, durante l’esecuzione delle misure cautelari emesse dal gip Luana Romano a carico di diversi indagati del clan. A inizio dicembre il procuratore di Napoli ha autorizzato l’esposizione del busto del baby boss nel Museo Criminologico di Roma.
Una questione rimasta mesi in sospeso riguarda il murale dedicato a Ugo Russo nei Quartieri Spagnoli: il ragazzo venne ucciso nel 2020 mentre tentava di rapinare un carabiniere fuori servizio. A settembre il Tar della Campania ha respinto il ricorso del comitato “Verità e Giustizia per Ugo Russo”, stabilendo che il murale rappresenta una “trasformazione fisica dell’immobile” e perciò dovrà essere definitivamente cancellato. Durante un’audizione in Commissione Antimafia, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha sottolineato l’importanza di rimuovere murales e altarini dedicati a figure legate alla camorra. Rimuovere questi simboli non ne elimina la matrice, ma può aiutare a non abituarsi alla rappresentazione della violenza e alla mitizzazione della criminalità.