di Nando dalla Chiesa
Che Carlo Smuraglia abbia
impersonato le virtù civiche e politiche che dovrebbero essere prese a esempio
da ogni cittadino italiano, non ho dubbi. In questi giorni molti le stanno
ricordando, trovandone tracce importanti e continue nella sua lunga e densa
biografia. Viene ricordata la sua scelta di arruolarsi giovanissimo tra i
partigiani per partecipare alla Resistenza al nazifascismo. Vengono esaltate le
sue qualità professionali, di avvocato combattivo sempre al fianco dei più
deboli. Viene rivisto (anche da me) rigoroso e generoso professore di Diritto
del lavoro alla facoltà di Scienze Politiche di Milano. O politico impegnato in
ogni forma possibile: come presidente del Consiglio regionale lombardo, o come
senatore, ideatore di una legge, il famoso articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario,
che cambiò le possibilità di vita dei detenuti grazie all’istituto del lavoro
esterno. Presidente dell’Anpi e coraggiosa guida del fronte “costituzionale”
che si oppose con armi impari ma con successo alla avventurosa riforma di
Renzi.
Ma per “Stampo Antimafioso” voglio ricordarlo in particolare per il suo strenuo,
cinquantennale impegno contro la mafia. Come difensore della famiglia di
Cristina Mazzotti, la ragazza sequestrata e uccisa dai clan calabresi nel 1975.
Come presidente della prima Commissione antimafia sperimentata nel 1991-1992 nel
Consiglio comunale di Milano e autore di una importantissima relazione finale.
Membro del Consiglio Superiore della Magistratura, schierato senza dubbi dalla
parte di Giovanni Falcone per la nomina a capo dell’Ufficio Istruzione di
Palermo. Lo ricordo commosso quando si offrì di difendermi gratis nella mia
domanda di giustizia al Maxiprocesso di Palermo. La nomina nel Csm gli impedì
di farlo ma mi affidò ad Alfredo Galasso, di cui prendeva il posto. E
soprattutto ne ricordo una frase che mi disse con orgoglio nel suo studio di
via Santa Sofia: “non ho mai difeso un mafioso né mai lo farò, anche se un mio
collega da quando ha iniziato a farlo viaggia con l’aereo privato”. Addio con
gratitudine, caro Presidente.