di Ilaria Franchina
In questi mesi si sta svolgendo in Corte di Assise a Como il processo contro i quattro imputati coinvolti nel sequestro di Cristina Mazzotti, avvenuto la sera tra il 30 giugno e l’1 luglio 1975. Gli imputati sono Demetrio Latella, 70 anni di Reggio Calabria (unico reo confesso), Giuseppe Morabito, ottantenne boss di Africo, il suo compaesano Antonio Talia, e Giuseppe Calabrò, nato a San Luca 74 anni fa. Del caso avevamo già parlato qui (https://www.stampoantimafioso.it/la-ndrangheta-sequestri-persona-la-storia-cristina-mazzotti-scena-ad-erba/) in occasione dello spettacolo teatrale a cura di Marco Rampoldi, Nando dalla Chiesa e Cross (Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università Statale di Milano) che ne ripercorreva le vicende.
Sono passati quarantanove anni dal rapimento, ma il trascorrere del tempo non ha scolorito la ricerca di verità e di giustizia dei familiari e della società civile. I fratelli di Cristina sono rappresentati dall’avvocato Fabio Repici, che ha fornito gli estremi per riaprire il caso a partire da quanto rilevato nel corso del processo per l’uccisione del Procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia, avvenuta nel 1983. Il rapimento di Cristina Mazzotti e l’assassinio del Procuratore Caccia sono due vicende tenute insieme dalla mano della ‘ndrangheta. In un caso, quello di Bruno Caccia, per il pericolo rappresentato dal magistrato nei confronti dell’organizzazione che aveva messo gli occhi sul Casinò di Saint Vincent. Nel secondo caso, per portare a termine uno dei progetti criminali che avevano come fine l’accumulazione di profitti per l’organizzazione criminale calabrese.
Il sequestro della diciottenne di Eupilio non è il primo sequestro di quegli anni (ricordiamo il ben più famoso sequestro di John Paul Getty III del 1973), ma tra i primi operati dall’organizzazione calabrese al nord. Da quest’ultimo caso differisce però per l’esito, mortale nel caso di Cristina Mazzotti. Come ricostruisce Enzo Ciconte, le vittime lombarde dei sequestri (158) sono le più numerose, un dato significativo di quanto fosse attiva la ‘ndrangheta nel Nord Italia già a partire dagli anni Settanta. La società civile, soprattutto quella milanese, è stata da subito vicina alla famiglia Mazzotti e oggi il testimone è passato nelle mani delle ragazze e dei ragazzi di Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie, che presenziano a ogni udienza.
Il 23 ottobre 2024 sono stati sentiti in aula i due testimoni oculari del rapimento, gli amici di Cristina, gli ultimi suoi cari a vederla in vita. Trasportati assieme a lei per un primo tratto in macchina, la vedranno consegnarsi ai rapitori (la ragazza si fece coraggiosamente avanti in seguito alla domanda: “Chi è Cristina Mazzotti? ” ). Aveva diciotto anni lei, diciotto e ventuno i suoi amici. Rapiti tutti e tre alla loro giovinezza, rapita Cristina alla vita e all’affetto dei suoi familiari. Familiari che negli anni hanno partecipato a tutti i processi, tre con quello attuale. Il ricordo di Cristina e dell’ingiustizia subita si tramanda attraverso le generazioni ed è oggi portata avanti dai due nipoti di Cristina che inorridiscono nel sentire un avvocato in aula paragonare la condanna di un eventuale innocente al rapimento e alla morte della giovane ragazza.
Quarantanove anni dopo si ripercorrono le dinamiche di quella vicenda, perché né il dolore né la storia vanno in prescrizione. Anche se, nel ricordo di molti italiani, quel patrimonio storico è più che prescritto è troppo spesso rimosso.