di Sara Manisera

20/10/2011

Dopo dieci lunghe ore di riposo, inizia il nostro primo vero giorno a Rosarno. Siamo fortunati perché alle 17.30 c’è un incontro alla biblioteca comunale per commemorare Giuseppe Valarioti, segretario del PCI di Rosarno ucciso dalla ‘Ndrangheta nel 1980 e l’ospite d’eccezione è Nicola Gratteri. L’incontro sembra una di quelle classiche cose che “si devono fare”; pochissimi studenti delle medie (secondo me troppo piccoli per stare attenti su certi discorsi qualunquisti fatti dai rappresentanti politici), una dozzina di insegnanti, qualche ragazzo del liceo e la classica sfilata di “politichetti” locali che non sanno nemmeno mettere insieme due parole per presentare il premio Valarioti 2011. Unica eccezione Peppino Lavorato, ex sindaco di Rosarno e compagno di Valarioti. Quasi assente la cittadinanza locale. Inutile dire che il momento migliore è l’intervento del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. Lui sì che sa parlare. E soprattutto attirare l’attenzione dei giovani ragazzi presenti in sala; pochi e semplici esempi (evita di presentare  il suo libro “La giustizia è una cosa seria”) per spiegare il perché non conviene essere ‘ndranghetisti. “Il giovane sgarrista o camorrista che fa il corriere di droga, tra Rosarno e Milano, guadagnerà oggi, domani, facendo sei o sette carichi di droga ma all’ottavo verrà arrestato; lascerà a casa una giovane moglie e due figli e si farà come minimo dieci anni di carcere perdendo gli anni più belli della sua vita. Non fatevi trarre in inganno da chi si veste griffato da testa a piedi o da chi ha la bella macchina; la ricchezza la terrà sempre il nucleo familiare in senso proprio della ‘Ndrangheta e non gli affiliati che vengono solo utilizzati per i loro fini. E voi ragazze non cedete alle lusinghe di questi giovani perché nelle aree dove c’è una maggiore densità mafiosa, esiste uno dei più alti consumo di psicofarmaci nella popolazione femminile ”. Continua poi con un altro esempio: “quando nel circondario viene aperto un supermercato con prezzi più bassi rispetto ai supermercati già presenti (che quindi perderanno clienti), non abbiate la memoria corta quando poi le forze dell’ordine lo sequestreranno, lasciando a casa una ventina di dipendenti, perché quello stesso supermercato, frutto del riciclaggio di denaro sporco proveniente da attività illecite, aveva costretto gli altri supermercati, cinque o sei anni prima, a licenziare i propri dipendenti per i prezzi competitivi che poteva permettersi. La ‘Ndrangheta non dà lavoro né fa girare l’economia; ragazzi distinguetevi sempre e non siate batterie di polli, tutti uguali”. Gratteri conclude ringraziando per la targa a lui assegnata e, circondato dalla scorta, esce dalla biblioteca comunale (riesco giusto in tempo a stringergli la mano e ricevere una sua raccomandazione: “mi raccomando, studiate”).

Prima di tornare verso casa scambiamo due chiacchiere con i due cugini Giuseppe e Giuseppe nella piazza centrale che si affaccia sulla Piana di Gioia Tauro; ci raccontano di alcuni episodi accaduti durante la rivolta del 2010 e ci confermano quanto ha detto Gratteri sui falsi miti che influenzano negativamente  gli adolescenti. Ma prima di andare a cena abbiamo da fare altro; un supermercato della zona ha appena chiamato Giuseppe perché c’è uno scatolone di yogurt in scadenza che andrebbero buttati e che possiamo ritirare noi per distribuirli ai ragazzi africani. Con il cugino di Giuseppe andiamo in uno dei tanti casolari presenti nei dintorni di Rosarno; al di là di una sbarra, lungo il ciglio della strada nazionale, vivono, tra fango, rifiuti e erbacce, una ventina di persone separate tra  quattro stanzoni in base al paese di provenienza. Entriamo nella prima stanza (tre metri per tre, quattro materassi, una piccola cucina a gas e una candela) dove incontriamo Umar della Costa d’Avorio. Tutti qui lo chiamano Marco perché lui a Rosarno ci vive da 10 anni ed è l’unico che parla discretamente l’italiano; ci racconta di Gheddafi, della Libia, degli interessi occidentali e di quelli francesi, della manifestazione di Roma e di quando gli hanno aperto volontariamente una portiera in faccia ben otto anni fa. La violenza mafiosa razzista ha radici remote. Vado con Giuseppe negli altri stanzoni: leggermente più grandi ma privi di tutto. Anche qui c’è una sola candela, sette o otto materassi, taniche di acqua, un’altra cucina a gas ma solo due ragazzi che però non capiscono molto bene l’italiano. Gli lasciamo gli yogurt e torniamo verso il primo stanzone dove scambiamo il nostro numero di telefono con quello di Umar. Salutiamo i ragazzi e rimaniamo d’accordo per organizzare al più presto una cena insieme. Basta davvero poco per regalare un sorriso a questi ragazzi che qui vivono in un contesto di forte esclusione sociale. E basterebbe ancora meno se tutti avessero più memoria storica sul nostro passato, quando eravamo noi quelli che emigravano.

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