“L’arte non riproduce ciò che è visibile
ma rende visibile ciò che non sempre lo è”
Paul Klee
Si può parlare di mafia in molti modi, tanti quanti sono i linguaggi noti all’essere umano. Si può scrivere di mafia, in un articolo o in un testo teatrale. Si può musicare la mafia, raccontandola con il pentagramma e sei corde di chitarra. Si può fare una parodia della mafia, una caricatura irriverente, una rappresentazione che ne tesse l’apologia. Infine, si può parlare di mafia utilizzando le immagini. Infine, ancora, la mafia può parlare utilizzando le immagini.
Il laboratorio sperimentale nato dalla sinergia tra il corso Triennio di Graphic Design e Art Direction (Nuova Accademia di Belle Arti, NABA) e Sociologia della criminalità organizzata (Università Statale, Facoltà di Scienze Politiche) è stato ideato perché gli studenti iscritti al corso si interrogassero su quella che potremmo chiamare una sorta di doppia natura dell’immagine: le arti figurative come luogo che nasce neutro e che assume una colorazione in base al “colore” dell’animo di chi ci mette mano. Così, se da una parte una pubblicità, un brand, un poster possono farsi forieri di un messaggio che veicola il sistema valoriale mafioso, dall’altra quegli stessi luoghi dell’immaginario possono diventare un momento di riscossa civile, di rivendicazione di diritti inalienabili, di riaffermazione del valore della partecipazione su quello della prevaricazione.
Tutto questo non solo è stato auspicato; è anche accaduto. Dove? Nella Sala Lauree della Facoltà di Scienze Politiche. Quando? Mercoledì 16 novembre, durante il convegno Immagini di mafia. Qui gli studenti della Nuova Accademia di Belle Arti e dell’Università Statale che hanno partecipato al laboratorio sperimentale interuniversitario ideato dal professor Nando dalla Chiesa e dalla professoressa Patrizia Moschella hanno presentato i loro progetti creativi di fronte ad un pubblico numeroso di esperti, studenti, cittadini, esponenti dell’associazionismo. Qui Guido Cornara, docente di comunicazione della NABA, ha illustrato l’impegnativo “lavoro di mesi” svolto dagli studenti spiegandone l’obiettivo – “modificare la percezione della presenza mafiosa” a Milano e nella realtà lombarda –, il doppio target – “l’opinione pubblica tutta e i giovani” – e il mezzo comunicativo – per il quale è stata lasciata agli studenti “ampia libertà di scelta”.
Qui il quinto appuntamento del ciclo di incontri organizzato da Libera in collaborazione con gli atenei milanesi ha giocato da pretesto per l’incontro tra i massimi esperti di comunicazione – Anna Maria Testa e i docenti della NABA responsabili del laboratorio, Patrizia Moschella, Guido Cornara, Marco Pupella –, i massimi esperti del fenomeno mafioso in nord Italia – il giornalista Gianni Barbacetto, autore del “raggelante documentario MM Mafia Milano”, così come l’ha definito il prof. dalla Chiesa, presente nella doppia veste di esperto e ideatore del laboratorio –, infine l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri – architetto abile e politico rappresentante dell’istituzione a cui i progetti realizzati verranno donati per essere utilizzati nell’ambito di campagne e attività di sensibilizzazione.
Il lavoro durato mesi
Come si può richiamare l’attenzione della cittadinanza su un problema tanto capace di mimetizzarsi quanto ormai così radicato? I ragazzi del corso sperimentale hanno risposto così: rendendolo visibile agli occhi di tutti. E i modi per farlo, come gli studenti ci hanno dimostrato, sono davvero i più disparati.
Martina, Angela, Ilaria e Sabrina ci invitano a sfidare e a rimuovere la nostra indifferenza contro le cosiddette ecomafie perché, dicono le ragazze, “le mafie costruiscono sulla nostra indifferenza”: qualcosa si nasconde dietro la futuristica Vela di Fuksas dell’Expo Village? È davvero come ci appare oppure la realtà è altro, la realtà sono gli affari sporchi della criminalità organizzata? Chiederselo è importante.
La mafia è qui, in città e allora la città va restituita alla legalità. Questo il concept di Amalia, Silvia, Caterina e Jennifer che pensano di impreziosire lo spazio urbano e sensibilizzare i milanesi apponendo un pannello bianco su tutti gli edifici in cui sono presenti appartamenti o locali confiscati alla mafia. Su questi teli verrà impresso uno stampo: “confiscato alla mafia; restituito alla legalità”.
E magari affianco ad uno di questi palazzi campeggerà uno dei manifesti immaginati da Stefania, Laura, Riccardo e Giulia. Metti un bar di Piazza Cordusio dato alle fiamme: “Sei sicuro sia stato un cortocircuito?”: la mafia si combatte facendoci quelle domande che lei è sicura non ci faremo mai, questa la riflessione dei progettisti.
Metti il caso del bar, mettici il pensiero ma anche “Mettici la faccia!”. Se il Comune meneghino adottasse l’idea di Andrea, Lara, Marta e Simone, non meravigliatevi se da qui a breve passeggiando per il centro città doveste imbattervi in sagome di cartone a forma d’uomo; come nei parco giochi, solo che questa volta non esclamerete frasi come “all’arrembaggio!” ma messaggi di ben altro tenore: “Non tacere, sii uomo d’onore”. E donna d’onore. Un significativo ribaltamento del senso che vuole accendere in tutti noi una riflessione individuale.
Magari queste sagome le incontrerete in “Piazza Duomo d’onore”. Potrebbe succedervi giocando a “Mafianopoly”, proposta di ludica consapevolezza frutto del lavoro di Alessandra, Tazio, Irene e Gloria. Un Monopoly rivisto che ricostruisce le dinamiche tipiche della presenza mafiosa nella realtà del capoluogo lombardo e dove le pedine si muoveranno su caselle che sono beni confiscati. Qui i soldi non vanno guadagnati perché lo scopo del gioco è liberare Milano dai soldi sporchi della mafia.
Già, infatti “i posti sbagliati sporcano i tuoi soldi”. Questo il concept di Monica, Lucia, Simone, Vittoria e Marta che con una graphic novel hanno riprodotto i meccanismi della movida milanese; il loro obiettivo è “rendere consapevole il consumatore” e informare il ragazzo loro coetaneo che è importante sapere da dove arrivano e dove vanno i soldi che spende perché, dicono, “l’ inconsapevolezza produce un danno effettivo alla società stroncando talenti sul nascere, distorcendo il mercato, contaminando le sorgenti di lavoro”.
E se “la mafia non ci piace”, diciamolo come ci suggeriscono Michele, Andrea e Francesca. “Mafia dislikers”: un’idea al passo con le nuove frontiere della comunicazione. Il loro progetto è infatti un gruppo facebook che si trasforma in un luogo di discussione, informazione, consapevolezza civile antimafiosa. Il logo è il pollice basso: a morte le organizzazioni mafiose, a voler richiamare il primo storico significato di questo gesto. Loro sono una rete, ma anche noi lo siamo; anzi, “Il nostro network è più potente del vostro”, recita il manifesto dei tre progettisti, pensato per affissioni pubblicitarie e postcard.
“Non si vede ma c’è”. A questo punto della storia, per come davvero stanno le cose, negare ancora la presenza della mafia è miopia. Oppure collusione. Da questa riflessione scaturisce l’efficace proposta di Silvana, Monica, Tommaso e Francesco di una campagna pubblicitaria che dica proprio questo: “La mafia non esiste. (firmato) La Mafia” perché, dicono i progettisti, “l’unico soggetto che potrebbe firmare questa campagna è la mafia stessa”.
Avanti così
Questi progetti strabilianti dimostrano che il mondo dell’immagine, il mondo dell’arte sono culla di idee sane, sono bacino di consapevolezza, sono genesi di partecipazione; non possono essere colonizzati anche questi mondi. Le organizzazioni mafiose potranno pure cercare, come di fatto hanno tentato, di rendere l‘arte e la comunicazione un cavallo di Troia per entrare nelle coscienze delle persone ma laddove proveranno a farlo troveranno un cavaliere più forte: si infiltrano nei social network, arriva il gruppo facebook antimafioso; aprono un franchising di pizzerie con il brand “Mafia”, lo studente sensibile lo denuncia; danno fuoco ad un bar in pieno centro, non giriamo la testa dall’altra parte; comprano un appartamento, glielo confischiamo e lo diciamo a tutta la città.
I progetti dei ragazzi ricevono il plauso e i suggerimenti di Anna Maria Testa, esperta di comunicazione e docente alla Bocconi, e il caloroso consenso di Stefano Boeri che commenta: “la mafia non è una favola che sta là ma un qualcosa di reale che sta dappertutto, ovunque nella società e nell’economia, nella politica e nella sanità; dunque non c’è un altrove ma c’è un qui, nella normalità delle azioni quotidiane, politiche, nelle cose che accadono intorno a noi e non in un retro della vita pubblica; bisogna dare risalto all’oscenità, alla mediocrità culturale del sistema mafioso per distruggerne l’epicità”. L’Assessore alla Cultura si fa inoltre convinto committente di queste opere per il Comune di Milano, nella speranza che queste esposizioni possano aiutare la città a smettere una volta per tutte di “negare la presenza mafiosa perché questo vuol dire negare un pezzo della nostra storia”, fa notare Gianni Barbacetto presentando il film MM Mafia Milano di cui è autore insieme al regista Bruno Oliviero.
Il pubblico lascia la Sala Lauree sulle parole del professor Nando dalla Chiesa: “Andiamo avanti così. La cultura produce effetti; è che loro non se ne accorgono, se non quando l’effetto si è già prodotto”.
Prossimi incontri del ciclo di seminari Libera-Atenei milanesi
Il 23 novembre alle 15 al Politecnico di Milano sul tema “Gli habitat delle mafie nel Nord Italia: spazi in abbandono, sottoutilizzati, aperti e residuali”;
Il 14 dicembre alle 9 allo IULM sul tema “Mafiosi eroi o criminali” per discutere dell’immagine che cinema e Tv offrono del fenomeno mafioso.
Il video del convegno a cura di Dario Parazzoli
Il video: http://www.youtube.com/embed/ikUe24k3qa8