di Sara Manisera
Se la maggior parte dei migranti con il finire della stagione della raccolta ha lasciato questi luoghi fatiscenti per spostarsi là dove i frutti della natura sono all’apice della maturazione, il verde aspro e rigoglioso e il profumo inebriante della Zagara mi dice che la primavera qui è al massimo delle sue forze.
Mi trovo a Rosarno, città di Maria Concetta Cacciola, la donna indotta al suicidio dai familiari – il cui fratello latitante è stato arrestato pochi giorni fa a Milano – rea di aver macchiato il nome della famiglia di quell’infamità che è la collaborazione con la giustizia. Rosarno, città di Giuseppe Lavorato, primo sindaco d’Italia costituitosi parte civile in un processo contro la mafia. Rosarno, città in cui i riflettori di mezzo mondo si accendono in seguito al grido di rabbia lanciato nel gennaio del 2010 dalla comunità africana che in questo lembo di Calabria, per anni, è stata vessata, umiliata e costretta a vivere in condizioni oltre i limiti dell’umano. La rivolta dei migranti sveglia coscienze sopite e rievoca immagini di un passato non poi così lontano, dove i nostri nonni erano i braccianti che si ritrovavano all’alba nelle piazze dei paesi, mostrando braccia e mani, sperando di essere scelti dai caporali e le nostre nonne riempivano i pulmini diretti nelle serre e nelle campagne del mezzogiorno italiano.
Il caporalato – l’intermediazione illecita della manodopera – non è un semplice fenomeno dell’agricoltura moderna ma assume una dimensione sociale ed economica essendo indissolubilmente legato allo sviluppo storico delle campagne del sud. E’ dalla struttura del latifondo ottocentesco che possono essere comprese alcune delle dinamiche che hanno permesso alla mafia di nascere e radicalizzarsi, consentendo alla figura del caporale di protrarsi fino ai giorni nostri.
Emilio Sereni, ne “Il capitalismo delle campagne”, afferma che l’unità d’Italia non si era compiuta perfettamente ma che erano rimasti “residui feudali” – nonostante i diritti feudali fossero stati aboliti già nel 1812 – che permisero alla classe agraria parassitaria di mantenere i suoi privilegi feudali e alle figure sociali come il gabellotto, il campiere o il sovrastante di arricchirsi, con lo sfruttamento dei contadini nelle forme semifeudali. I “jurnatari”, i lavoratori alla giornata, erano dunque gli ultimi della struttura gerarchica del latifondo sui quali veniva sfogata la violenza dei controllori del lavoro, i caporali. Andrea Segre, nel documentario “Il sangue verde”, mette efficacemente a confronto le condizioni di vita e di lavoro dei migranti nella piana di Gioia Tauro con quelle dei braccianti rosarnesi agli inizi del novecento. Racconta, infatti, Giuseppe Lavorato: “nel dopoguerra le famiglie di Rosarno avevano sette, otto figli; in quegli anni i braccianti di Rosarno e i braccianti del comprensorio arrivavano nella piazza del Popolo e lì andavano persone inviate dai grandi proprietari terrieri che tastavano i loro polsi e i più forti venivano portati al lavoro. A Rosarno infatti c’erano i guardiani, la vecchia ‘ndrina; la trasformazione avvenne agli inizi degli anni ’70 quando arrivarono gli interventi pubblici – il raddoppio ferroviario e l’autostrada – e i guardiani dei campi diventarono guardiani dei cantieri, ottenendo il trasporto e l’impiego della manodopera, il subappalto e l’appalto”.
La ‘Ndrangheta, attraverso la forza di intimidazione e le condizioni di assoggettamento e omertà ha eliminato la concorrenza e il libero mercato creando monopoli settoriali come nella filiera degli agrumi. Nell’ambito della commercializzazione agrumicola, infatti, le ‘ndrine hanno allontanato i commercianti forestieri per rimanere le uniche acquirenti, imporre il proprio prezzo e impadronirsi di tutti i passaggi intermedi – il settore della trasformazione, del trasporto, della raccolta – fino ad arrivare nei mercati, controllando il prezzo al consumo e realizzando frodi ai danni dell’Unione Europea. L’utilizzo illecito di finanziamenti pubblici e la globalizzazione combinati con la presenza opprimente ed invasiva della ‘Ndrangheta nell’economia e nel tessuto sociale di Rosarno, hanno drammaticamente sconvolto il sistema economico dei piccoli agricoltori che si sono trovati costretti a lasciare i frutti appesi agli alberi o a sfruttare i braccianti stranieri.
Il caporalato assume comunque forme diverse a seconda del contesto economico, culturale e sociale di una determinata regione. In Puglia, ad esempio, il caporalato è spesso degenerato in forme crudeli di sfruttamento e schiavismo e numerosi sono i casi di sequestro e morte di braccianti stranieri avvenuti in circostanze misteriose. L’assenza della ‘ndrangheta, la minore frammentazione della proprietà e la diffusione del lavoro nero ha permesso, tuttavia, l’avvio della campagna “Ingaggiami contro il lavoro nero” promossa l’anno scorso proprio a Nardò dalle Brigate di Solidarietà attiva. L’esemplare esperienza salentina non è però replicabile ovunque; mi spiega infatti Nives Sacchi, attivista delle Brigate: “il territorio di Nardò ha delle caratteristiche particolari che hanno reso fattibile il progetto e che in altri territori non ci sono: la buona collaborazione con le istituzioni – soprattutto nel 2010 attraverso un tavolo con la prefettura, un bando comunale per avviare progetti d’accoglienza, i fondi provinciali e regionali per la ristrutturazione della masseria e uno sportello Asl dentro il campo – ha permesso di esercitare pressione sulle aziende affinché venissero fatti gli ingaggi; il numero dei braccianti a Nardò – circa 5-600 durante l’alta stagione, quasi tutti con regolare permesso di soggiorno – non è paragonabile all’hinterland foggiano in cui si parla di 20.000 migranti, irregolari, impossibilitati ad avere un contratto; il minor frazionamento della proprietà – circa cinque aziende si dividono 700 ettari – ha reso possibile sia la campagna “Ingaggiami”, sia l’esperimento di aggregazione politica dei braccianti stranieri”.
In territori articolati come Rosarno, in cui la proprietà è frammentata, la Grande Distribuzione strozza i piccoli produttori e la sfera culturale è fortemente permeata dalla mentalità mafiosa, il progetto “Ingaggiami” e i tentativi di autorganizzazione e di lotta dei migranti sono, di fatto, difficilmente realizzabili, anche se alcune esperienze positive si stanno concretamente costruendo. E’ il caso della campagna SOS Rosarno, promossa da Equo Sud e da AfriCalabria, con lo scopo di vendere prodotti “etici”, senza sfruttamento e senza passare attraverso il circuito della Grande Distribuzione ma appoggiandosi ai Gruppi d’acquisto solidali.
Numerose sono dunque le iniziative e gli sforzi fatti dal mondo dell’associazionismo in difesa dell’agricoltura e dei diritti dei lavoratori; Brigate di Solidarietà attiva, Osservatorio dei migranti di Pigneto, di Salluzzo, Africalabria, Gas Bologna, Campi Aperti Bologna, Palazzo San Gervasio, Finis Terrae sono solo alcuni esempi di lotta sul territorio, di autorganizzazione e di coordinamento dei braccianti.
Ovviamente ancora lunga è la strada da percorrere soprattutto dal punto di vista legislativo; la normativa italiana sull’immigrazione, l’aberrante Legge Bossi-Fini, resta in parte il nocciolo della questione caporalato, soprattutto per i braccianti extracomunitari privi di permesso di soggiorno, quindi facilmente ricattabili. Esisterebbe la direttiva europea, la n°52/2009, che prevede la regolarizzazione del migrante in caso di denuncia dello sfruttatore ma, ad oggi, l’Italia non l’ha ancora recepita.
E’ questa dunque la situazione in cui si trova la nostra agricoltura e i nostri braccianti: caporalato, criminalità organizzata, sfruttamento e grande distribuzione. E noi consumatori? Ciò che sicuramente possiamo fare è conseguire un consumo il più possibile solidale, svincolato dallo sfruttamento frutto degli interessi della filiera industriale e delle speculazioni dell’impresa criminale. La promozione dei GAS (Gruppi d’Acquisto Solidali) e dei GAP (Gruppi d’Acquisto Popolari), l’esperienze di consumo critico a sostegno delle campagne d’acquisto di prodotti socialmente equi sono, senza dubbio, solo un inizio di fronte al consumo di massa industriale ma se tutto ciò fosse accompagnato da una vera e propria alleanza tra contadini, braccianti e consumatori, la difesa di un’agricoltura sana, retta da piccoli produttori e fondata sul rispetto dell’uomo e dei lavoratori non sarebbe poi così irrealizzabile.