di Sofia Grivet Brancot e LucianoVarini
31/08/2012, Lecco
Giovedì pomeriggio abbiamo conosciuto e giocato con le ragazze delle squadre di pallacanestro di Costa Masnaga e della Starlight di Valmadrera. Inizialmente la partita si sarebbe dovuta svolgere al campetto di basket, realizzato sul bene confiscato alle mafie nel 1992. Ha iniziato a piovere, ma non ci siamo scoraggiati: piano B! Direzione palazzetto dello sport di Costa Masnaga.
A parte qualche talento naturale, il nostro gruppo è composto da ingegneri e studenti universitari un po’ digiuni di sport. Abbiamo deciso di prenderla con filosofia: “una figuraccia contro le mafie”! Ma come spesso accade negli sport, appena scesi in campo un entusiasmo collettivo ci ha contagiati. Tra risate, battute e stupori anche i più timidi si sono messi in gioco. Dopo questo ludico riscaldamento è arrivato il momento di metterci da parte e far giocare chi se ne intende. Anche per loro questa partita ha avuto dello straordinario. Infatti, per testimoniare che la competizione non vuol dire rivalità ma un modo per spronarci a superare e accettare i nostri limiti, le due squadre, notoriamente nemiche, hanno dovuto mischiarsi. Non era più Costa Masnaga contro Starlight ma un gruppo di giovani ragazze che giocava per una causa. È questo l’aspetto che più ci ha colpito, sottolineato anche dalla maratoneta Lucilla Andreucci, di Libera Sport, venuta a incontrarci. Lo sport non più visto come una forma di crescita e piacere perde tutto il suo significato e porta gli atleti a non essere i protagonisti, a perdere il proprio equilibrio, la stima in se stessi, e diventare facili prede per chi, come la criminalità organizzata, è sempre pronto a guadagnarci.
Ci si sbaglia a pensare che il doping sia un cancro che coinvolge solo gli atleti ai più alti livelli, perché anche il giovane promettente o lo sportivo amatoriale si possono trovare coinvolti e quindi tentati. Ma è solo responsabilità loro? No, noi crediamo che puntare il dito sia inutile. La risposta, come sempre, sta nelle nostre azioni. Noi vogliamo uno sport che sia prima di tutto degli atleti e non di chi ne ricava profitto. Noi vogliamo credere e sostenere gli sportivi nelle vittorie, ma sopratutto nelle sconfitte. È questo il nostro modo per sconfiggere le mafie infiltrate anche nello sport. Dopo le parole di Lucilla abbiamo giocato con le atlete. Non ci ricordiamo neanche chi abbia vinto, di certo ce l’abbiamo messa tutta dando il meglio di noi. Abbiamo imparato a non sentirci umiliati dai nostri limiti, ma ad accettarli e riderci sopra.