Sabato 9 Luglio, in Piazza Sant’Ambrogio a Lonate Pozzolo, davanti a circa 200 persone di ogni età, è andato in scena lo spettacolo “Nomi, Cognomi e Infami” dell’attore e consigliere regionale Giulio Cavalli.
Nella tana del lupo e senza paura. Perché dopo la sentenza del processo “Bad Boys” non bisogna più averne, di paura. Non bisogna più avere alcun timore di gridare l’esistenza della locale ‘ndranghetista di Lonate Pozzolo-Legnano, di accusare alcune persone di essere mafiose. È l’idea di fondo dello sprono introduttivo di Massimo Brugnone, coordinatore regionale del movimento Ammazzateci Tutti nonché organizzatore della serata. Con lo sguardo fisso sul pubblico, con una sicurezza che non sempre si trova in un ventenne, scandisce al microfono i nomi e le condanne del processo conclusosi lunedì a Busto Arsizio. Risuonano i nomi di Esposito Antonio, Filippelli Nicodemo, De Castro Emanuele, Murano Vincenzo, i lonatesi “cattivi” e condannati. Ma per non fare di tutta l’erba un fascio, bisogna dimostrare che i lonatesi sono gente onesta. “Bisogna dimostrare di essere di più e farlo orgogliosamente, mantenendo l’umiltà di imparare”, è l’idea di Brugnone, secondo cui è necessario trovare il coraggio di denunciare e di fidarsi della giustizia. Il giovane organizzatore chiude l’introduzione allo spettacolo, apertasi con due discorsi di Borsellino sul dovere di smuovere le coscienze e sulla forza di reagire, soprattutto della gioventù, ringraziando le autorità di Lonate, in particolare il consiglio comunale e il gruppo di lavoro per la legalità, che hanno permesso la serata e che si stanno muovendo per fornire una sede ai ragazzi di Ammazzateci Tutti sul suolo di Lonate, per decontaminarlo dalla presenza mafiosa.
Ma per liberarsi dalla pressa criminale bisogna anzitutto parlarne. Il potere della parola. “Questo non è uno spettacolo teatrale”, “stasera va in scena la parola” esordisce Giulio Cavalli. E continua, “la risata è l’arma più forte” perché davanti ad essa “la mafia si sgretola”. Parole forti, scomode, dette energicamente nella piazza principale di una cittadina lombarda ormai simbolo della colonizzazione ‘ndranghetista al Nord. Cavalli sa affrontare discorsi ostici con semplicità, con parole accessibili a tutto il pubblico presente, degne di un’artista che, nonostante sotto scorta, non rinuncia a chiacchierare con le persone in attesa del suo spettacolo. L’artista usa l’ironia e, a tratti, un pizzico di volgarità per spingere la gente a riflettere. Per non tradire il titolo dello spettacolo, Cavalli fa i nomi, racconta storie di personaggi di mafia, li insulta, li irride. Vuole mettere il re a nudo. È il ruolo del giullare, dell’Arlecchino, come lui sottolinea più volte, che vuol divertire il pubblico denigrando il potere e suscitando reazioni nel popolo. Bisogna farlo perché la Lombardia è “una regione che non si accorge”, dove la mafia “è entrata nei Martini come un’oliva”. Ma Cavalli non racconta solo i cattivi, i veri infami. Il magistrato Bruno Caccia, il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, il giornalista Giuseppe “Pippo” Fava, anche loro, quelli che hanno sacrificato la loro vita per una giusta causa, trovano spazio nella narrativa perché “il silenzio è complice”. Chi non parla aiuta la criminalità. Bisogna “decidere da che parte stare diventando partigiani” poiché “l’indifferenza è incostituzionale”. Cavalli va oltre e rincara la dose, “non potete dire di non sapere” e “dopo stasera, siete collusi con la dignità”.
Le persone, nonostante le avvisaglie di temporale date dai fulmini e da un venticello che fa sventolare per bene le bandiere di Ammazzateci tutti, rimangono, tutte, fino alla fine, anche coloro che non sono riuscite a trovar posto a sedere. Gli applausi finali, prima al solo Cavalli poi alla stretta di mano -invocata da Brugnone per dimostrare che l’antimafia non ha bandiere politiche- tra l’attore (Sel) e il sindaco di Lonate (Pdl) non sono lunghissimi, vista anche l’avversione dell’artista per questi, ma si sente nell’aria, dal suono pieno, che sono applausi intensi, che vengono da dentro. L’artista e gli organizzatori sono riusciti nel loro intento. Così, si chiude positivamente un altro capitolo della lotta alla mafia nel varesotto. Lotta nella quale, la società civile e la giustizia sembrano correre affiancati come due treni, ma ad alta velocità.