di Camilla Caron
Il silenzio cresce come un cancro cantavano i Simon & Garfunkel negli anni sessanta, molte persone parlano senza dire nulla e ascoltano senza capire.
Piera Aiello respinge il timore reverenziale che spesso le parole portano con sè, abbattendo il muro dell’omertà mafiosa attraverso un libro scritto a quattro mani con il giornalista Umberto Lucentini. Il libro, che ripercorre la sua storia di moglie e vedova di un mafioso, di madre, di testimone di giustizia, di donna libera, è una scansione di fatti che si rincorrono e si sovrappongono, un intreccio di capitoli bui e frizzanti, tutti accomunati da un insaziabile inno alla vita, all’impegno, alla responsabilità, da parte di una persona che ha lottato, ha sofferto e in alcune occasioni ha perso, in una vita rivoluzionata spesso dalla morte.
Racconta della giovinezza vissuta tra il primo amore “occhi celesti” e l’insistenza del giovane Nicola, che diventerà poi suo marito, figlio del malavitoso del paese, don Vito Atria. Racconta dei tradimenti di Nicola, della terra bruciata che la loro rottura provoca intorno alla sua famiglia, dei compromessi, delle botte subite, dei bacia mano, delle frequentazioni poco raccomandabili del marito, del lutto per la morte del suocero, della sete di vendetta che si fa largo nell’animo di Nicola, della paura per il futuro di un possibile figlio maschio, e della felicità per la nascita di una femmina alla quale darà l’amore che può essere racchiuso in tutto il mondo e che finalmente potrebbe spezzare la maledizione dei maschi in casa Atria, che invece si ripete inesorabile, con l’assassinio del marito. Racconta dell’ennesimo lutto, dell’ennesimo morto ammazzato, dell’ennesima vedova di mafia, dell’ennesima orfana di un padre ucciso da Cosa Nostra, racconta del coraggio di partire, di sognare per la figlia Vita Maria un futuro diverso, della galera legalizzata della vita come testimone di giustizia, dell’incontro rivelatore con Zio Paolo (Borsellino, ndr), del conforto e dell’appoggio dell’arma dei carabinieri, del riacquisto di una libertà interiore considerata perduta, delle prime deposizioni a Marsala, della difficoltà di essere senza nome, senza documenti, di non poter aprire un conto in banca o non avere un medico di base, dei Natali passati in desolate stanze di albergo lontana da casa, dell’impossibilità di dire buongiorno ai propri vicini di casa, della riconciliazione con Rita (sorella di Nicola, diventata anch’essa testimone di giustizia sotto l’ala protettrice di Borsellino) e dell’ennesima escalation di lutti, da Falcone e Borsellino a Rita, della perdita di fiducia in una giustizia forse irrealizzabile, del senso di oppressione generato dalla formula “motivi di sicurezza” che le impedisce di incontrare gli altri testimoni, di partecipare ai funerali di Rita, o di parlare nelle scuole elementari siciliane della sua storia e dal ritorno di una fatidica domanda, risonante nei suoi pensieri: E adesso?. Racconta della tenacia e della perseveranza nel non arrendersi mai, con fatica ma con onore, superando i cavilli burocratici e iscrivendo sua figlia a scuola, della rinascita grazie a figure come quella di Nadia Furnari, giovane studentessa presidente dell’associazione Rita Atria, della decisione di lasciare nel 1997 il programma di protezione testimoni per riacquistare la piena libertà, per lasciarsi alle spalle il nomignolo di “cancro” (affibbiato ai testimoni di giustizia da poco onorevoli servitori dello stato in quanto non ci si potrà mai liberare di loro, esattamente come un male mortale che succhia la linfa vitale) e tornare ad essere una persona, uscire dall’ombra.
Ancora oggi non si dà pace per essere andata via da Partanna; è uno degli innumerevoli paradossi che caratterizzano lo studio del fenomeno mafioso: i testimoni di giustizia si devono nascondere mentre delinquenti, boss, politici corrotti e collusi camminano a testa alta alla luce del sole. La mafia non dovrebbe poter rubare vite, ma a Piera resta la dignità di donna e di persona: ha un carattere ribelle, sin da giovane instaura con il potere mafioso un braccio di ferro che non può permettersi di perdere, per se stessa, per la figlia Vita Maria, per tutti coloro che hanno perso la vita lottando per questa causa: Io prevedo ogni volta la conseguenza delle mie parole, ma non riesco a stare zitta. E come un fiume in piena Piera si racconta, dalla descrizione dell’odore della polvere da sparo che impregna le pareti, la pelle, i vestiti, all’ufficio di Borsellino sconvolto dal passaggio di Vita Maria, che lo privava di qualsiasi aspetto istituzionale e lo faceva assomigliare a un parco giochi; è un libro che trasuda vita, è un graffio profondo, un urlo lancinante, un grido di speranza, un monito che un’alternativa è sempre possibile, e il ricordo che ad alcune persone spetta il dovere di fornirla.
Come i grandi classici che ti aprono mente e cuore, è un libro che lascia qualcosa, e qualunque sia la natura del sentimento – angoscia, consapevolezza, stupore o una rinnovata dinamicità – aiuta ad analizzare meglio la realtà circostante.