Troppo spesso la politica si è inginocchiata alla mafia per ottenere voti in cambio di favori. Anni di impunità. Anni di vuoto normativo hanno contribuito a trasformare questa prassi in una consuetudine italiana.
A maggio di quest’anno, la Fondazione in memoria di Paolo Borsellino ha cercato di colmare questa impietosa lacuna, tramite una proposta di legge volta a modificare l’art. 416- ter c.p., riproponendolo in questi termini: «La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro o di altreutilità per sé o per un terzo». La Fondazione ProgettoLegalità ha inviato una moltitudine di e-mail a tutti i rappresentanti politici per promuovere l’approvazione del disegno di legge. La proposta legislativa è stata presentata, il 15 maggio di quest’anno, al Palazzo di Giustizia di Palermo. Hanno partecipato all’iniziativa il procuratore capo Francesco Messineo, il presidente del tribunale di Palermo Leonardo Guarnotta, il magistrato Antonio Ingroia, il professore Costantino Visconti, e Manfredi Borsellino, figlio del magistrato ucciso in via D’Amelio. Oggi la formulazione della norma mira a sanzionare penalmente solo le ipotesi, nella pratica assai rare, in cui il patto politico-elettorale mafioso si concretizzi con il versamento di danaro ai clan, in cambio del loro sostegno. E’ invece necessario reprimere espressamente il caso, purtroppo molto più frequente, dell’accordo esplicito che il politico in “odor di elezioni” definisce con il mafioso: l’impegno di elargire, come contropartita all’ appoggio elettorale ricevuto dall’organizzazione criminale, favori di qualsiasi natura.
Ma concretamente, di cosa si tratta? Caliamoci nella pratica. Poniamo il caso che, durante una competizione elettorale, il candidato x si rivolga ad un influente membro di una famiglia malavitosa, capace di garantirgli un cospicuo numero di voti, in cambio di un ricco appalto. Ad oggi, questo pactum sceleris non è punito dall’ordinamento italiano.
La necessità di modificare la disciplina sul voto di scambio fu auspicata dallo stesso Paolo Borsellino che, già nel 1989 durante un incontro con alcuni studenti di Bassano del Grappa (Vicenza), evidenziò la difficoltà della magistratura a contrastare in maniera efficace questo fenomeno a causa degli scarsi strumenti offerti dall’ordinamento. Le parole del giudice, nonostante siano ormai passati 23 anni, sono ancora oggi più attuali che mai: «L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però […], le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica».
Eppure oggi il problema è sempre più, drammaticamente, attuale. Come non ricordare il recente caso di Domenico Zambetti, ex assessore alla Casa della Regione Lombardia. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche di voto di scambio. Un patto politico-mafioso che, secondo gli inquirenti, non avrebbe ad oggetto solo il versamento di denaro alle cosche, ma anche qualcos’altro: favori e promesse di appalti. Ad esempio, a Eugenio Costantino, della cosca di Oppido Mamertina, l’ex assessore avrebbe promesso il rinnovo del contratto di parrucchiera alla sorella, presso l’ospedale San Carlo. Zambetti da questo mercimonio con la ‘ndrangheta avrebbe guadagnato 4.000 voti a suo favore, alle elezioni regionali in Lombardia del 2010. Solo poche ore fa si è conclusa l’inchiesta denominata “La svolta”, portata avanti dai carabinieri di Imperia, Ventimiglia e Genova, coordinati dalla DDA del capoluogo ligure. Il blitz è scattato all’alba. Non solo è stato arrestato il presunto boss della “locale” di Ventimiglia, Giuseppe Marcianò, il figlio e il nipote. Inoltre, usura, estorsioni, associazione a delinquere di tipo mafioso e voto di scambio: ecco le ipotesi di reato a carico degli ex sindaci di Ventimiglia e Bordighera Gaetano Scullino e Giovanni Bosio, e quello di Vallecrosia Armando Biasi. I due comuni, sciolti per mafia, nel febbraio del 2012 e nel marzo del 2011, riflettono l’oscura connivenza mafiosa intrisa nel territorio. “Un vero e proprio antistato.. in grado di corrompere la coscienza dei cittadini”. Così, l’ordinanza del gip di Genova Massimo Cusatti, ha esemplificato la realtà del capoluogo. Sono in questo modo emerse le abili capacità della malavita di influenzare le partite elettorali locali attraverso scambio di favori, incontri e cene su misura. Gli inquirenti sottolineano come il reato di voto di scambio «non esiste di fatto. In questo caso è stata operata una costante ingerenza nel mondo della politica che ha portato gli indagati a “costruire” amministrazioni “amiche”». Ci auguriamo che il legislatore non rimanga sordo davanti alla proposta della Fondazione Progetto Legalità. Le istituzioni devono iniziare a svestire l’abito delle grandi occasioni, da sfoggiare nelle varie commemorazioni, ed emanare norme in grado di accrescere le potenzialità delle procure nel contrasto alle mafie. Tuttavia, ad oggi, nonostante le promesse del Ministro Severino, nel Parlamento tutto tace.