di Valerio Berra
Tic-tac-tic-tac. Il rumore dei rintocchi, il rumore silenzioso del tempo che scorre, accompagna gli uomini da secoli. «Tempus fugit», diceva Virgilio, il tempo fugge, e non può essere più ripreso. Sul sito ufficiale di Expo 2015 compare il tempo che manca al primo maggio 2015, quindo i nastri tricolore dell’inaugurazione verranno tagliati e comincerà ufficialmente l’esposizione universale. Ad oggi mancano circa 850 giorni prima dell’inizio del grande evento, giorni che si preannunciano molto densi per i suoi organizzatori. Il tempo diventa quindi un fattore fondamentale per capire le vicende che interessano e hanno interessato Expo 2015. Nel febbraio 2012 era stato varato dai vertici della società pubblica Expo S.p.a., quella che si dovrà occupare della realizzazione e gestione dell’evento, un documento chiamato «Protocollo di legalità». Un plico di fogli all’interno dei quali si potevano leggere le linee guida che avrebbero accompagnato i cantieri. I buoni propositi c’erano tutti: controlli per evitare infiltrazioni d’appalto, white list per garantire che le aziende fossero pulite, e tante promesse sulla trasparenza e la legalità. Peccato che tutto questo non aveva fatto i conti con le lancette prima citate, con quei rintocchi che si susseguono freddi e incuranti di ogni tipo di scandalo che può accadere. Secondo le previsioni degli organizzatori la macchina Expo dovrebbe essere pronta circa due mesi prima dell’inaugurazione. Tempi ottimistici che stanno creando problemi sia dal lato finanziario che dal punto di vista della legalità, come si è subito capito nell’ambito del primo dei tre cantieri che dovranno garantire la realizzazione della grande opera. Iniziamo dalla parte strettamente economica. Il primo appalto riguarda la «rimozione delle interferenze», si occupa cioè di sistemare la viabilità attorno al sito dell’esposizione universale e garantire il collegamento con le reti idriche ed elettriche. Questo cantiere è partito nel novembre 2011, guidato dalla CMC di Ravenna, l’azienda che si è aggiudicata la gara di appalto al massimo ribasso offrendo ben il 42, 83% di sconto sula base d’asta, 65 milioni di euro contro i 90 stimati dai periti che hanno valutato i lavori. L’impresa si è accorta però che i tempi previsti erano troppo stretti e nel novembre 2012 ha richiesto ad Expo S.p.a. altri 30 milioni per poter finire i lavori. In questo modo non solo viene a mancare tutto quello sconto che era stato promesso dall’azienda, ma si aggiungono altri 5 milioni di euro al prezzo stimato in partenza. Se però dal lato economico la perdita non è poi tanto eclatante rispetto alla quantità di soldi in gioco, il vero problema emerge subito sul versante della legalità. Per capire quanto questa mancanza di tempo possa diventare pericolosa, basta analizzare due casi, sempre inerenti a questo primo cantiere. Il primo riguarda le modalità con cui è stata concessa la gara d’appalto. Il criterio utilizzato è quello del «massimo ribasso», vince cioè l’azienda che offre lo sconto maggiore sulla base d’asta. Questo è un metodo molto pericoloso, perché più si abbassa il prezzo, più è probabile che le imprese mafiose entrino ad inquinare se l’appalto. Tali aziende possono infatti contare su un enorme quantitativo di denaro sporco da riciclare oltre che su metodi di persuasione poco ortodossi, potendo così facilmente battere la concorrenza di altri imprenditori. La motivazione per la quale il primo cantiere è stato assegnato in questo modo è però proprio quella tempo, la tabella di marcia era già stata ritardata e quello del massimo ribasso è il modo più veloce per decidere chi si dovrà occupare dei lavori. Con questo non si vuole dire che la CMC di Ravenna sia direttamente collegata alla società criminale, ma il rischio che lo sia una delle moltissime aziende che hanno ottenuto i subappalti, oppure un’azienda esterna che si occupa di qualche fornitura, è molto alto. Tanto alto che il 25 maggio 2012 i pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio hanno aperto presso la Procura di Milano un fascicolo per indagare sul possibile reato di turbativa d’asta per questo appalto. Il secondo episodio nell’ambito della legalità risale al 6 luglio 2012, quando sulla base di un’informativa della Prefettura di Milano, Expo S.p.a decide di rimuovere dal cantiere una delle aziende che avevano in gestione un subappalto, la Elios di Piacenza. I vertici della società che si occupa di realizzare l’esposizione universale, dichiarano infatti che dalle carte della Prefettura emergono elementi tali da pregiudicare il rapporto di fiducia con questa impresa, sulla base del «Protocollo di legalità» firmato pochi mesi prima. La notizia viene immediatamente ripresa da tutte le figure politiche che ruotano attorno ad Expo 2015, riportata come una fiera testimonianza di un sistema di controlli fitto ed intransigente. Peccato però che i giorni scorrono in fretta e un cambio di impresa richiede tempo, così poche settimane dopo la revoca del subappalto, il Tar sostiene l’illegittimità dell’allontanamento e reintegra le Elios nel cantiere. Una decisione presa in fretta, per non perdere neanche un giorno nei lavori. Tic-tac-tic-tac. Quando il tempo scorre così veloce, non ci si può fermare a controllare che tutto sia a norma , che tutto sia trasparente. Bisogna procedere. Andare avanti scavo dopo scavo, colata dopo colata, rendendo così poco più che carta straccia tutti i protocolli firmati. Per i processi, le polemiche e la giustizia, ci sarà tempo dopo. Expo fugge, Expo non aspetta.