di Flavia Famà
Stamattina ho lasciato Cittá del Messico per raggiungere una mia amica negli Stati Uniti, ho preso un taxi chiamato dall’hotel e durante il tragitto ho scambiato qualche parola con l’autista, Roberto, messicano doc, affascinato dall’Italia.
Gli faccio alcune domande per capire quale sia la sua percezione della criminalità e la sua qualità di vita.
Per prima cosa mi raccomanda di non prendere mai un taxi per strada, sopratutto da sola perché è molto pericoloso, tante sono le donne rapinate, picchiate e stuprate in taxi poi abbandonate per strada, mi dice.
Passiamo per alcuni quartieri come Obera e Moctezuma e mi chiede se mi sono resa conto che le ragazzine per strada erano tutte prostitute.
In questi quartieri la vendita del corpo a domicilio, sia di giovani donne che di omosessuali, lo spaccio di droga, i furti e gli assalti sono all’ordine del giorno, mi parla di un altro quartiere Tepito, mi dice solo che è il più pericoloso della città e non ho il coraggio di chiedergli che altro possa succedere oltre le atrocità che mi ha menzionato.
Il problema non sono solo i cartelli del narcotraffico ma anche le pandillas, gruppi armati di criminali che commettono praticamente gli stessi reati spesso in competizione tra loro.
Lo scenario è di una guerra quotidiana per la sopravvivenza contro una moltitudine di nemici, dove molte volte anche le Istituzioni sono corrotte.
Gli chiedo cosa si possa fare secondo lui, se denunciare possa essere una soluzione, ma solleva le spalle e con un sorriso amaro mi chiede “e a chi ci rivolgiamo? La polizia è corrotta, hanno degli stipendi talmente bassi che sono facilmente comprabili anche quando non sono collusi.”
Parlare della polizia gli fa venire in mente che pagare un taxi privato in aeroporto è un reato federale, così mi chiede di pagarlo subito altrimenti può essere pericoloso.
All’improvviso mi dice che deve fare benzina e si ferma.
Mi torna in mente José Antonio, scomparso il 25 gennaio 2009 proprio mentre si era fermato in un rifornimento di benzina, parlava al cellulare con la sua fidanzata che ha sentito tutta la scena del rapimento e ancora una volta provo un forte senso di impotenza, di insicurezza e di rabbia.
José Antonio era un ingegnere, come Matusalem e i suoi tre colleghi spariti dal 21 ottobre 2009. Mi chiedo il senso della loro sparizione e mi viene in mente che Los Zetas avevano messo in piedi una rete telefonica, oggi confiscata e distrutta, che collegava tante città, comprese alcune dove non vi era nessun altro collegamento telefonico.
Che le sparizioni forzate siano stabilite anche in base alle necessità di competenze e specializzazioni per ottenere un controllo ed un potere sempre più capillare?
Speriamo che qualcosa cambi y suerte, buona fortuna, ci diciamo reciprocamente.