di Gianluca Di Feo

Costa all’Italia 60 miliardi l’anno. E ha distrutto la fiducia nelle istituzioni e nei partiti. Ma ora il Paese non può più sostenere il peso delle tangenti e dei danni che provocano.

corruzioneÈ la parola chiave dell’ultimo ventennio, ma solo nei momenti di crisi si riscopre la sua importanza. Eppure la corruzione è presente da sempre nella vita degli italiani. Si aggiorna, cambia e continua a diffondersi nella nostra società, condizionandone tutti gli aspetti. Si è passati dal sistema organizzato e gerarchico della Prima Repubblica, con i vertici dei partiti che decidevano le quote da versare in bustarelle per ogni appalto, a un magma appiccicoso che in questa stagione pare capace di coinvolgere tutto e tutti.

Le ultime indagini hanno messo in luce un mercato dove tutto è in vendita: con le tangenti si possono acquistare non solo gli appalti ma anche le nomine al vertice di enti pubblici e municipalizzate o addirittura una candidatura in Parlamento. Si è arrivati fino allo scempio dei consiglieri regionali che usavano denaro pubblico per farsi finanziare qualunque spesa, dalle caramelle allo champagne.

Il danno globale per la vita del Paese è devastante. Le stime internazionali ritengono che la corruzione in Italia alimenti un giro di affari di 60 miliardi di euro, risorse sottratte alla crescita della nazione. Perché le tangenti soffocano la possibilità che ci sia competizione, impediscono alle aziende innovative di imporsi, tagliano le gambe allo sviluppo: si paga soprattutto per piazzare alle pubbliche amministrazioni i servizi e i beni di peggiore qualità.

Ma c’è una ferita ancora più profonda, quella che travolge la credibilità delle istituzioni e dei partiti politici: un’intera classe dirigente appare come cementata dall’interesse, pronta a usare il denaro pubblico per soddisfare anche la minima esigenza personale.

Questo crollo di fiducia è il segnale di un male che non può più essere ignorato: la corruzione sta uccidendo la speranza nel futuro. Per questo servono risposte su tutti i fronti. Nuove leggi, nuovi regolamenti, una trasparenza totale della cosa pubblica. E la ricostruzione di una barriera etica, che convinca alla legalità: che sappia fare del no alla corruzione un valore. Giorgio Napolitano, nel discorso che ha inaugurato la straordinarietà della sua seconda presidenza ha ammonito la classe politica a evitare «l’autoindulgenza» dei «corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme». L’autoassoluzione dei potenti però non deve nemmeno diventare l’alibi per la rassegnazione dei cittadini. Perché la corruzione può essere sconfitta. Basta punire in modo certo i responsabili. Basta riformare i settori in cui le mazzette sono la regola. Basta rendere totale la trasparenza della pubblica amministrazione. E riscoprire l’orgoglio dell’onestà.

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