L’udienza del 21 maggio è stata dedicata alle arringhe delle difese. Chieste ai giudici la condanna di Carlo Cosco ma senza l’aggravante della premeditazione e l’assoluzione per Massimo Sabatino, Giuseppe Cosco e Vito Cosco.
di Clemente La Porta e Fiammetta di Stefano
Ulteriore udienza del processo d’appello per l’omicidio di Lea Garofalo, in cui si sono concluse le arringhe dei difensori. L’aula è quella della Corte d’Assise d’Appello di Milano e, come per tutte le udienze del dibattimento, si contraddistingue per la moltitudine di giovani presenti per testimoniare sostegno a Denise e desiderio di giustizia per Lea Garofalo. Il primo a prendere la parola è il legale di Massimo Sabatino, l’Avv. Wilmer Perga, che ha ribadito l’esistenza della prova dell’innocenza di Sabatino, chiedendo, pertanto, l’assoluzione del suo assistito per non aver commesso il fatto.
La difesa di Carlo Cosco
L’udienza prosegue con l’arringa dell’Avv. Daniele Sussman Steinberg, legale di Carlo Cosco. La difesa si focalizza sull’inattendibilità dei teste: Salvatore Sorrentino, Alberto Schiavone, Angelo Salvatore Cortese, che, per far coincidere le loro testimonianze, si sarebbero messi d’accordo sulle dichiarazioni da rendere. In particolare, il legale definisce Salvatore Sorrentino “un alchimista della menzogna, un uomo che miscela bugie alla verità”. Infatti, secondo l’Avv. Sussman, Sorrentino si sarebbe sbagliato su diverse circostanze nel suo racconto, in particolare con riferimento all’utilizzo dell’acido per sciogliere il cadavere di Lea Garofalo o alla partecipazione di Curcio Rosario, Cosco Giuseppe e degli albanesi al delitto, cercando di smentire così il teste sui punti focali delle dichiarazioni da lui fornite. Il difensore, inoltre, ha proseguito affermando come l’episodio di Campobasso, avvenuto il 5 maggio 2009, non fosse un progetto omicidiario di Carlo Cosco per uccidere l’ex compagna, bensì semplicemente un modo per “darle una lezione per come si era comportata”. Anche le dichiarazioni di Venturino sono state oggetto di critica da parte della difesa, in particolare circa il progetto del padre di Denise di uccidere la compagna durante il suo soggiorno a Milano, poiché, secondo il legale: “dal 2006 al 2008 la donna era uscita dal programma di protezione e lui non le hai mai fatto niente, non l’ha mai cercata, men che meno ha cercato di ucciderla”.
Solo il raptus di un momento
Pertanto, il 24 novembre 2009, Carlo Cosco avrebbe prelevato da solo Lea presso l’Arco della Pace di Milano, portandola nell’appartamento di Floreale in via Prealpi; lì, a seguito di una discussione, colto da un raptus, l’avrebbe uccisa tirandole un pugno sul volto, mentre Carmine Venturino si trovava all’interno della cucina dello stesso appartamento. Secondo Sussman, il fatto che il cadavere di Lea abbia perso del sangue, di cui vi sarebbero tracce sul pavimento dell’appartamento, sarebbe compatibile con questa versione e non con quella dello strangolamento. Alla luce di ciò, il difensore sostiene che Carlo Cosco non avrebbe architettato alcun “piano schifoso” per eliminare Lea Garofalo. Si trattò di un raptus, di un momento. L’avvocato, dopo aver pregato i giudici popolari di non farsi influenzare dal “bombardamento mediatico” a cui è stato sottoposto questo processo, conclude chiedendo ai giudici della Corte che Carlo Cosco, reo confesso, debba essere condannato per l’omicidio di Lea Garofalo, escludendo però l’aggravante della premeditazione.
La difesa di Vito Cosco
Successivamente Vito Cosco, prima che i suoi difensori potessero procedere con le proprie arringhe, ha reso delle dichiarazioni spontanee, lette dalla Presidente della Corte Anna Conforti, con le quali ha confermato la versione resa da Carlo Cosco, aggiungendo di aver partecipato alla distruzione del corpo di Lea. I difensori di Vito Cosco, gli avvocati Eliana Zecca e Pietro Pitari, durante la loro arringa, hanno cercato di dimostrare, attraverso l’esame dei tabulati telefonici, che il loro assistito, nel momento in cui è stato commesso l’omicidio, non si trovava nell’appartamento di Floreale, ma “è arrivato dopo, in soccorso al fratello Carlo che si è dimostrato incapace di gestire un qualcosa più grande di lui”. I legali hanno chiesto ai giudici della Corte d’Appello di assolvere Vito Cosco dall’accusa di omicidio, chiedendo inoltre l’applicazione del minimo della pena per gli altri reati di cui lo stesso si è dichiarato protagonista, dal momento che lo stesso: “ha tre figli e una moglie, ha il diritto di tornare a vivere con la propria famiglia”.
Femminicidio, quale ‘ndrangheta!
Nel pomeriggio ha preso la parola l’Avvocato Fabio Massimo Guaitoli, difensore di Giuseppe Cosco. L’arringa del legale si è contraddistinta per un’aspra critica della sentenza di primo grado, definita vergognosa e che, a suo dire, sarebbe fondata su delle mere ipotesi. L’avvocato ha proseguito sottolineando l’inattendibilità di Sorrentino, definito un “terrorista”, poiché a seguito delle sue dichiarazioni che prevedevano l’uso dell’acido per la distruzione del cadavere di Lea, ci sarebbe stato un aumento in Italia di attentati eseguiti con l’utilizzo della stessa sostanza. Inoltre, l’avvocato Guaitoli ha sottolineato come non sia questo il processo per parlare di ‘ndrangheta, qui ci si trova di fronte ad un caso di femminicidio, e di conseguenza, il Comune di Milano non avrebbe alcun titolo nel costituirsi parte civile. Lo stesso discorso vale per Marisa Garofalo, poiché questa avrebbe avuto, secondo l’avvocato, l’autorità per decidere se, come e quando Lea sarebbe potuta rientrare in Calabria.
L’arringa del difensore si è conclusa con la richiesta di assoluzione per Giuseppe Cosco e la contestuale rivisitazione dell’ammissione al processo delle parti civili.
L’ultima parola spetta all’avvocato Salvatore Staiano, legale di Rosario Curcio. Il difensore afferma che: “anche se il mio assistito avesse dato per cento volte la propria disponibilità a partecipare a quest’omicidio, questo non significa che quel giorno vi abbia preso parte. Anzi, lo stesso Venturino ricorda che Curcio si è tirato indietro per ben due volte, compresi i fatti di Campobasso”. Assoluzione per non aver commesso il fatto.
Sentenza: 29 maggio
Con quest’ultima richiesta da parte della difesa si chiude l’udienza durata ben oltre dieci ore. La prossima si terrà il 29 maggio, dove, dopo la replica del Procuratore della Repubblica Marcello Tatangelo, le arringhe delle difese, ed un eventuale confronto tra Carmine Venturino e Denise Cosco si conoscerà la tanto attesa sentenza. Non resta che aspettare.
In conclusione, riportiamo un episodio descritto da un nostro collega: “Sono appena passate le quattro di pomeriggio. I ragazzi di Libera sono seduti nella zona riservata al pubblico. Seduti per terra, mentre insieme a tanti uomini e donne aspettano dalla mattina la sentenza dal processo. Dai banchi dove siedono gli avvocati della difesa arriva un uomo dall’aria distinta. Giacca, cravatta e due paia di occhiali alzati sulla fronte. Prima di uscire dall’aula di tribunale si ferma davanti al pubblico, guarda i ragazzi di Libera, guarda tutte le persone in piedi e con tono arrogante chiede «Cazzo ci fate qua?» Neanche il tempo di voltarsi, neanche il tempo di pensare a cosa rispondere e l’uomo esce. Si gira una donna e commenta: «Siamo riusciti a dargli fastidio». Perché siamo qua? Siamo qua, per far vedere che una parte della società civile c’è, è cosciente di quello che sta succedendo ed è disposta a dedicare una giornata intera per seguire l’udienza. Siamo qua per far vedere che un delitto del genere non passa inosservato, per far vedere che anche se le immagini di Lea non sono più nei telegiornali, non ci siamo dimenticati di lei, non ci siamo dimenticati di Denise. E non ci dispiace dare fastidio.”