Di Valerio Berra
Scorrendo il calendario, passando con l’indice della mano un giorno dopo l’altro, si può vedere come ad ogni giorno sia collegato un santo. Un santo della tradizione cattolica, qualcuno che ha vissuto una vita così nobile da meritarsi quella “S.” davanti al nome. Ma si potrebbe anche fare un altro calendario. Uno che al posto dei nomi di uomini di fede, ha i nomi di chi è morto per altri ideali: i santi laici. Riprendendo le cronache di tutti i delitti di mafia si può vedere che ormai sono pochi gli spazi sul calendario non ancora macchiati dal sangue di chi ha pagato con la vita la sua scelta di onestà.
Così, con un elenco di questi “santi laici” comincia lo spettacolo <<Giorgio Ambrosoli>> di Luca Maciacchini, scritto da Michela Marelli e Serenella Hugony Bolzano, andato in scena la sera del 23 maggio all’auditorium Aldo Moro di Arese. Questo momento è stato organizzato dal presidio Libera di Arese, proprio per ricordare l’uomo, o meglio il santo laico, a cui è dedicato il presidio.
L’allestimento della scena è essenziale. Un unico attore, accompagnato sul palco solo dalle sue chitarre, seduto su uno sgabello racconta la vita dell’avvocato milanese ucciso dalla mafia l’11 luglio del 1979. La vita di Ambrosoli viene così narrata a metà fra le parti recitate e le canzoni, tutte originali, composte dallo stesso Maciacchini.
Dall’infanzia all’iscrizione all’Unione Monarchica Italiana, dagli studi di giurisprudenza a quando ha conosciuto Annalori, che poi sarebbe diventata sua moglie, dai primi lavori all’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana. Ogni momento della sua vita è stato dipinto con parole e musiche, sempre a metà tra la dimensione privata e il contesto economico e criminale che ha affrontato. Come in una fotografia, in primo piano è stato tratteggiato il ritratto di un uomo preciso, un gran lavoratore, scrupoloso nel seguire le regole e con nessuna vocazione per essere un eroe. Sullo sfondo invece è apparso un mondo dove le banche erano strettamente collegate alla criminalità organizzata, un mondo dove politica, società segrete e mafia erano tre soggetti uniti a doppio filo.
Lo scontro fra primo piano e sfondo avviene quando Giorgio Ambrosoli si trova a ricoprire l’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, l’istituto di credito di cui era diretto responsabile Michele Sindona. Quest’uomo viene descritto nello spettacolo come un mago della finanza votato però al crimine. Il personaggio di Sindona prende vita con la musica, e con la melodia blues si trasforma in don Mike, il padrino nel riciclaggio di soldi sporchi.
Nel 1973 la Banca Privata Italiana era fallita e l’avvocato di Milano si stava occupando di verificare i conti e capire chi fossero i colpevoli del fallimento di quella che era la terza banca d’Italia e chi invece dovessero essere i creditori. Fra i numeri, fra le fatture false e i giri di denaro in conti esteri, Ambrosoli aveva però scoperto i fili di un intreccio che univa alcuni esponenti politici, la banca del Vaticano, la P2 e la criminalità organizzata. Nonostante le minacce e gli avvertimenti, Ambrosoli continuò il suo lavoro, fino a quando la sera dell’11 luglio 1979 William Joseph Aricò lo chiamò per nome, mentre stava tornando a casa e gli sparò quattro colpi con una 357 magnum.
Aricò, meglio conosciuto come Billy lo sterminatore, era un sicario americano legato a Cosa Nostra, pagato 115000 dollari da Sindona per uccidere l’avvocato. Sindona, don Mike, nel 1986 è stato condannato all’ergastolo per questo omicidio.
Al termine del lungo applauso che è seguito allo spettacolo, la figlia di Giorgio Ambrosoli, Francesca, ha ringraziato tutta la platea per essere presente a ricordare un santo che di finire su un calendario non aveva nessuna intenzione. D’altronde qui si diventa eroi con poco, basta fare il proprio lavoro.