di Nando dalla Chiesa

LuraghiQuesta è una di quelle classiche storie in cui lo Stato dovrebbe entrare a piedi uniti. Per dare l’esempio. Per ristabilire le distanze. La protagonista è una giovane signora dell’hinterland milanese. Mentre la storia gira tra Buccinasco, Cesano Boscone e Pogliano Milanese. All’origine c’è un imprenditore dell’edilizia che conosce il suo mestiere, che ha fatto fortuna e che per questo entra nelle mire dei clan di Buccinasco. I primi danneggiamenti ai camion li subisce nel 1981. Poi tra incendi, ordigni esplosivi, devastazioni, arriva a contarne nel corso degli anni quasi quaranta. Ma tra un attentato e l’altro inizia a fare affari con i boss, specie quelli del clan Papalia-Barbaro. Li teme, li soffre, ma ci fa affari. Perché non sapevo a chi rivolgermi, dice lui. I magistrati trovano nelle intercettazioni colloqui amichevoli e di intesa proprio con gli estorsori. Per tenerli buoni, che altro dovevo fare?, replica sempre lui, Maurizio Luraghi. I giudici lo condannano per associazione mafiosa. In qualche modo è un segnale anche per gli imprenditori reticenti o per chi pensa che colludere con i clan serva a prendere appalti più facilmente. Non possono avere paura solo della ‘ndrangheta, sembra il ragionamento dei giudici. Devono temere anche le sanzioni dello Stato. Materia complicata, tanto che il processo è tornato in appello, per rinvio a Milano dalla Cassazione.
Ebbene, la protagonista della storia è la figlia Barbara, una signora dai capelli ramati e che ancora oggi sgrana gli occhi di stupore al pensiero di quel che ha visto. Barbara ha fatto da segretaria nell’impresa paterna ma nel 2007 si è messa in proprio, una nuova impresa edile con sede a Pogliano Milanese. Aiutata dal padre che le gira clienti rigorosamente puliti; perché dei clan e del loro fiato sul collo lei proprio non ne vuole sapere. Così quando l’emissario dei Barbaro si presenta da lei e dal geometra dicendo che deve fare lavorare i loro “uomini e mezzi”, la risposta è tagliente: “voi per me siete persone che non esistono più”. Chiarezza per chiarezza, iniziano gli attentati. Due bombe confezionate artigianalmente esplodono sui cantieri di Cesano Boscone, un attentato al magazzino di Pogliano, una a Barbaiana di Lainate. Più un altro alla concessionaria Fiat dove si stanno facendo i lavori di ampliamento senza i calabresi. Danni materiali enormi, “tra un milione e un milione e mezzo”. Eppure Barbara resiste. A ogni escavatrice che salta o a ogni impianto danneggiato, tira avanti. Arriva anche a prendere a nolo le escavatrici e a riportarle al chiuso ogni sera. Riceve le classiche telefonate notturne di disturbo, che nessuno si incaricherà di spiegarle da dove vengano. Le minacce fioccano esplicite quando il padre esce dal carcere, o in vista delle sue testimonianze in aula. “Una mattina d’autunno del 2008 porto i bambini a scuola e quando torno all’auto trovo sul parabrezza un messaggio scritto al computer: ‘Stai attenta, sappiamo cosa fai’. Evidentemente mi seguivano, e non solo in certi orari. Me ne sono convinta una volta che mi sono fermata per caso all’Esselunga di Rho, per una spesa non programmata. All’uscita di nuovo un messaggio intimidatorio sotto il tergicristalli. Un giorno ne ho trovato addirittura uno sul balcone della cucina, al piano rialzato, stavolta scritto a mano: ‘Stai attenta, non fare come tuo padre’, perché mio padre aveva iniziato a raccontare qualcosa ai magistrati”. Finché arrivano addirittura i lenzuoli. Uno grande steso davanti al municipio di Pogliano: “Luraghi Barbara paga i tuoi debiti”. Già, cognome e nome, come negli atti processuali. Ci sono le telecamere ma non riprendono nessuno, lei almeno non riesce a sapere. Poi stesso lenzuolo sul ponte della circonvallazione. Poi davanti alla scuola dei figli. Barbara denuncia sempre: ai carabinieri, alla guardia di finanza, ai magistrati. Nel 2010 inizia l’iter per ottenere i risarcimenti previsti dalla legge per le vittime di estorsione. E’ ammessa al programma ma non arriva un euro. L’anno dopo ottiene il rinnovo dell’accesso ai risarcimenti ma ancora niente soldi. Può almeno tenere buoni i creditori. Finché cambia la legge, la prefettura non la avverte delle nuove procedure e così la richiesta dell’ennesimo rinnovo arriva fuori tempo massimo. Inutilmente la Dda milanese invita per iscritto i giudici della sezione fallimentare a tenere conto della sua posizione. Nel maggio del 2012 la “L.S. Strade srl” chiude per fallimento. Barbara Luraghi vittima di bombe e di minacce e che ha rotto con le pesanti ambiguità ambientali è stata costretta a chiudere, di qua la morsa dei clan, di là l’indifferenza dello Stato. La sua casa è all’asta. I conti correnti bloccati, come una delinquente. Vive delle lezioni di ballo del padre, passato dal movimento terra al tango argentino.
 

Hai voglia a dire legalità. L’imprenditrice che non si è fatta intimidire ha dovuto gettare la spugna davanti a tutti. Ecco che cosa capita a non mettersi d’accordo… E invece che schiaffo sarebbe per i clan del sudovest milanese se lo Stato applicasse le proprie leggi e la aiutasse a realizzare il suo progetto. “Edilizia? No, basta. Io quei signori non li voglio incontrare mai più. Vorrei metter su una ludoteca. Già, i soldi pubblici che mi avevano promesso vorrei dedicarli ai bambini, a farli giocare anche il sabato, fino alla sera. Dopo l’incubo, è questo il mio sogno”.

fonte: il fatto quotidiano, 2/6/2013

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