di Nando dalla Chiesa
No, proprio la scuola no. Partendo dagli stessi due esempi – Carolina Girasole e Rosy Canale – da cui era partito il sottoscritto per denunciare sabato scorso il “Circo dell’antimafia”, domenica Ernesto Galli della Loggia ha sferrato un duro attacco dalla prima pagina del “Corriere” all’azione svolta dalla scuola italiana nell’educazione alla legalità. Un’azione retorica, ha scritto, fondata sulla precettazione “buonista” degli alunni e del tutto inefficace nella lotta alla criminalità organizzata (che si combatte con magistratura e forze dell’ordine efficienti e inflessibili). E infine costosa. Culmine e sintesi di questa galleria di vizi sarebbe la “carnevalata” della nave della legalità, ossia la nave che, piena di studenti, parte da Civitavecchia e da Napoli per ricordare ogni 23 maggio a Palermo, con la strage di Capaci, i giudici simbolo della lotta alla mafia, Falcone e Borsellino.
Qui bisogna esser chiari. Il circo dell’antimafia esiste. La retorica di certe forme celebrative pure. Gli alunni in più occasioni servono a riempire sale ufficiali altrimenti vuote. E qualche inutile soldo gira, sempre a favore di esperti immaginari o di improbabili percorsi formativi, dalla Sicilia alla Lombardia.
Ma alla scuola, e al suo ormai trentennale impegno sul fronte della lotta per legalità, il paese deve solo fare un monumento. Pur tra mille difficoltà, con tagli crescenti, a volte battendosi contro le diffidenze ambientali, la scuola pubblica italiana ha fatto quel che non hanno fatto l’impresa, la politica, gli intellettuali, le professioni e l’informazione. Anzi, se il paese ha retto di fronte all’offensiva criminale lo deve a due pilastri: da una parte magistratura e forze dell’ordine, dall’altra la scuola. Decine di migliaia di insegnanti hanno dedicato tempo, passione, studi aggiuntivi per fronteggiare un fenomeno che il paese ufficiale non vedeva. Hanno accreditato nella cultura delle nuove generazioni magistrati e poliziotti, invitandoli anche tra ragazzi abituati a chiamarli sbirri. Hanno fatto sentire ai rappresentanti dello Stato in trincea il consenso morale negato dall’alto. Forse anche a questo si deve se oggi leve di giovani consiglieri comunali, al sud come al nord, stanno finalmente modificando l’atteggiamento di molti enti locali di fronte alla mafia. O se all’università si trovano studenti eticamente motivati a fare il commissario di polizia o il concorso per maresciallo dei carabinieri. Dirò di più. E’ perfino commovente tornare in una scuola venti, trent’anni dopo e ritrovare la professoressa conosciuta ancora giovane, ormai vicina alla pensione, e che tuttora continua a organizzare corsi, giornalini, teatro contro la mafia. Gratis. Senza gloria. E sarebbe bello che proprio queste persone, regolarmente neglette, venissero finalmente e ufficialmente ringraziate dal presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno. Ecco. La Nave della legalità è ogni anno il punto d’arrivo (gioioso e faticosissimo) di questo immenso lavoro. E ha il pregio di indurre chi vi partecipa a dire, come ho sentito dire dai miei studenti, “mi ha cambiato la vita”.
E’ forse più efficace puntare solo sulle forze dell’ordine e sui magistrati? Certo l’applicazione costante e rigorosa della legge incoraggia lo spirito della legalità. Ma è anche vero che quest’ultimo si radica (lo insegnava Tocqueville…) nei costumi civili. Ed è soprattutto vero che se in Italia la legge non viene applicata come vorrebbe (giustamente) Galli della Loggia, è perché l’indolenza delle classi dirigenti, i calcoli elettorali, le complicità politiche e giudiziarie lo impediscono. Da qui la necessità di unire tutte le forze legalitarie per cambiare uno Stato che dovrebbe funzionare in un certo modo ma che in quel modo, disgraziatamente, non funziona. Ci sarà pure una ragione se i magistrati in prima linea hanno sempre assegnato alla scuola, e ai suoi tanti ragazzi senza diritto di voto, una funzione fondamentale o se perfino un generale diventato prefetto, uomo per antonomasia della repressione, sentì d’istinto il bisogno e l’utilità di andare a parlare nei licei palermitani.
Se esiste il circo dell’antimafia, la scuola ne è in genere la negazione; per questo mette sempre più al bando spettacolarità e assemblee oceaniche per approfondire valori e conoscenze, e scongiurare il clima da applauso facile. Insomma, più che essere il bersaglio delle polemiche, oggi la scuola – sì, la famigerata scuola pubblica – dovrebbe essere il modello di tutti. Magari l’Italia ne fosse all’altezza.
(tratto da Il Fatto Quotidiano – 24/12/2013)