È stata una festa, una festa senza retorica. La partecipazione alla XIX Giornata della Memoria e dell’Impegno, promossa da Libera e Avviso Pubblico, è stata un osservatorio sull’umanità. Come da un belvedere che dà su una vallata lo sguardo coglie imperfezioni e meraviglie della natura, così sfilando per le vie di Latina e attraversando il corteo che si snoda si colgono le bellezze e le contraddizioni che lo animano.
L’accoglienza della popolazione a Latina è un misto di ostilità e attesa. Pochi gli esercizi commerciali che espongono la bandiera di Libera o la locandina della Giornata, pochi anche – a dire il vero – i manifesti pubblicitari lungo le strade. In compenso le orecchie intercettano frasi come ‘comunisti!’ o ‘ma chi cazzo è questo don Ciotti?’. Ma non deve sorprendere. Latina, una città dall’apparenza borghese e residenziale, silenziosa, dove il fascismo mantiene inalterati nell’architettura i segni del suo passaggio, non è stata scelta a caso come teatro di questa XIX edizione. I molti punti chiusi nelle vie che tagliano le arterie principali della città fanno pensare a uomini e attività che nel loro operare devono sottrarsi agli sguardi indiscreti. Ecco quindi perché la scelta è caduta su Latina. L’Agropontino e il litorale romano, aree a non tradizionale presenza mafiosa, sono da anni zone di insediamento degli interessi criminali, schiacciate tra camorra e ‘ndrangheta, dove i giornalisti vengono avvistati e sollecitati ad allontanarsi, i mafiosi si sentono minacciati dalle maestre che parlano di mafia nelle scuole ai loro figli e il Ministro dell’Interno non riesce a sciogliere per infiltrazioni mafiose il comune di Fondi.
I cordoni degli scout in pantaloncini corti – fortuna per loro che il cielo sopra Latina ha scongiurato la pioggia – i presidi territoriali dalla Valle d’Aosta alla Sardegna, i giovani e i meno giovani, le delegazioni sindacali, le scuole elementari – che pennellata il gruppo di bimbi campani che sfilando canta in dialetto “Nu jorno buono” del rapper napoletano Rocco Hunt, vincitore di Sanremo Giovani 2014 – i tantissimi studenti delle scuole superiori di cui, camminando loro affianco, intercetti i commenti ingenui, disarmati e allo stesso tempo acuti, segno di una intelligenza promettente che va stimolata e coltivata: questo significa combattere la “mafiosità diffusa” richiamata da don Ciotti in Piazza del Popolo a Latina e costruire la classe dirigente del domani. Infine i familiari delle oltre 900 vittime innocenti di mafia; procedono con sobrietà indossando i cartelli che ricordano i loro cari caduti, ancora in attesa della verità ufficiale nel 70% dei casi.
Chissà se prima o poi si renderà inutile la Giornata della Memoria e dell’Impegno.
Certo, questa XIX edizione si è aperta come nessuno si sarebbe mai immaginato, tant’è che nemmeno alla conferenza stampa di presentazione se n’è fatto verbo. Il movimento antimafia contemporaneo e la società tutta, in questo 2014, hanno vissuto un evento storico che segna un precedente: il Papa ha voluto incontrare i famigliari delle vittime. Venerdì 21 marzo, nella chiesa di San Gregorio VII a Roma, papa Francesco – ovvero la Chiesa nella sua massima rappresentanza – ha apertamente accolto la domanda di giustizia delle centinaia di persone che hanno perso i propri cari per mano della violenza mafiosa. Così facendo il pontefice non solo ha delegittimato la mafia sulla pubblica piazza; con semplici parole – “io vi prego, uomini e donne della mafia, convertitevi e fermatevi di fare il male” – ha sbugiardato la religiosità distorta di chi, pregando il Dio cristiano, uccide e viola i diritti, fisici e morali, delle persone.
Ma non si pensi che il gesto ‘partigiano’ del Papa sia rilevante solo per i credenti. Anche per i non credenti, la presa di posizione del pontefice segna una sorta di rito di passaggio che spezza decenni di convivenza e connivenza: quella che è forse la seconda più importante istituzione in Italia e nel mondo per potenza e creazione di cultura, la Chiesa, sconfessa le organizzazioni criminali mafiose, a loro volta attori in grado di determinare trame di potere, profitto e codici culturali. Vuol dire porre in essere una netta distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male semplicemente interpretando il proprio ruolo sociale. Come ha dimostrato di fare Papa Francesco.
Bene e male. Antimafia e mafia. Ovviamente è stato questo il perno del discorso di don Luigi Ciotti in piazza del Popolo a Latina. Senza mezzi termini il fondatore di Libera apre con un’invettiva contro chi, riempiendosene la bocca, ha svuotato di senso concetti fondanti come legalità e antimafia. Sono diventate “parole sospette”. Legalità di comodo, legalità strumentale, legalità al servizio del potere. L’antimafia dei troppi sedicenti ‘anti’ che perde di credibilità. I troppi sedicenti ‘noi’ che invece pensano ‘io’. Questo atteggiamento di incoerenza e opportunismo diffuso ha un elevato costo sociale, è una tassa alla mafia che versiamo tutti. Invece il cambiamento ha bisogno di responsabilità; il cambiamento ha bisogno di umiltà come base su cui costruire il rinnovamento sociale e culturale necessario per contrastare la mafia. Mafia che non può essere relegata a esclusivo problema criminale, perciò – insiste Ciotti – è cruciale l’impegno di ciascuno. Sbaglia chi crede di capire sempre tutto, sbaglia chi crede che la ‘vera’ antimafia abbia una sola declinazione; ne esistono invece tante quante sono le persone e le attitudini che si mettono in gioco, tante quanto è multiforme la realtà: ciò che conta è fondare l’agire su una comune base di onestà, rispetto e umiltà. Mafiosità è anche spacconeria, supponenza, presunzione: in una parola, prevaricazione. Anche questo sembra che dica Ciotti tra le righe del suo dirompente intervento.
“Rischiamo di morire di prudenza – chiosa Ciotti – in un mondo che non può attendere. Ricordiamoci che il momento è adesso, la speranza è adesso”.