Di Serena Piccirillo

prima che la notte“Ci scusiamo con i lettori per i tre giorni di ritardo dovuti a cause che non dipendono dalla nostra volontà”. A trent’anni dalla morte del padre, Claudio Fava (vicepresidente della Commissione nazionale antimafia, giornalista e scrittore al suo sesto romanzo), in occasione della presentazione del suo nuovo libro, Prima che la notte, ricorda con orgoglio le parole pubblicate sul primo editoriale dei Siciliani dopo quel 5 gennaio 1984. Parole lucide che, dopo il trauma umano e sociale della morte del giornalista siciliano, si limitano a derubricare la mafia a fatto burocratico: “nemmeno il lusso di un po’ di dolore…solo quello dovevano leggere gli assassini di Giuseppe Fava: tre giorni di ritardo, non una parola in più”, parole che non cercano la compassione del lettore. In una sola riga, sostiene l’autore del volume presentato lunedì alla libreria Feltrinelli di Corso Buenos Aires, viene toccata la punta più alta del giornalismo, la lezione più grande lasciata in eredità da Pippo Fava: “si continua tutti insieme, rigorosi, leali, disperati, si continua a fare quello che il direttore avrebbe fatto se fosse stato al posto nostro, il direttore e basta perché in guerra non ci sono padri né figli, non ci sono dolori prediletti, tutti soldati semplici”. E in una sola riga leggiamo anche il senso della vera antimafia – come hanno messo in evidenza Nando dalla Chiesa e Armando Spataro, presenti alla serata – lontana dalla celebrazione degli eroi e vissuta piuttosto nella quotidianità, giorno dopo giorno, parola dopo parola “era necessario andare avanti, senza nemmeno scrivere  quanto fossero spaventati e incazzati quei quattro “Carusi di Fava” così com’erano stati chiamati Claudio e Miki, all’anagrafe Michele Gambino, coautore del nuovo romanzo edito da Baldini&Castodi, e Antonio e Riccardo.

Non è la cronaca di un delitto di mafia questo libro, ma una bel romanzo che si legge in un soffio, la storia di questi quattro ragazzi che giocano a Risiko e improvvisamente, in una notte, si trovano a dover crescere; fino a quel momento hanno guardato e raccontato la realtà come se fossero in un cinematografo, sono stati inconsapevoli: dunque, colpevoli. Dopo trent’anni Claudio Fava e Michele Gambino ricostruiscono con leggerezza, ironia e affetto l’esperienza dei Siciliani, i dettagli dell’uomo Pippo Fava, della sua vita, delle sue risate, delle sue partite di pallone. Lo fanno guardando con profondità e umanità al Direttore e alle vicende che seguirono la sua uccisione, mettendo in pratica l’insegnamento che lui stesso gli ha lasciato: quello di fare giornalismo lasciandosi guidare da passione, speranza e disincanto in nome della giustizia. Perché forse bastano senso etico, carta e penna per contrastare il potere mafioso.