di Adelia Pantano – Trame.4, Lamezia Terme
Sembra strano sentir parlare di un suicidio di mafia, dopo che per anni abbiamo letto e visto omicidi, attentati e quant’altro. Eppure qualcuno ha voluto indicare una vicenda con questa definizione: è Luciano Mirone che ha dedicato un libro alla storia della morte di Attilio Manca intitolandolo appunto “«Suicidio»di mafia. La strana morte di Attilio Manca”.
La sua storia è veramente strana, soprattutto perché è legata alle vicende di boss della mafia siciliana, Bernardo Provenzano. Attilio Manca era un medico, un bravo medico. Aveva origini siciliane, era cresciuto a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Barcellona è nota alle cronache giudiziarie ed è nota soprattutto alla mafia. Lì venne ucciso il giornalista Beppe Alfano, lì soggiornò durante la sua latitanza il boss mafioso Benedetto Santapaola e da lì proveniva il telecomando utilizzato nella strage di Capaci.
Si era trasferito a Viterbo dopo essersi specializzato in Francia, riuscendo a poco più di trent’anni ad importare in Italia un avanzato metodo per operare alcune patologie col sistema laparoscopico. La mattina del 12 febbraio 2004 venne trovato morto nel suo appartamento, con due buchi nel braccio e due siringhe accanto al suo cadavere. La procura di Viterbo giudica la vicenda come un suicidio, il medico era un tossicodipendente e vuole più volte archiviare il caso. Ma la famiglia non ci sta e continua a tenere aperto il caso perché c’è qualcosa di più, qualcosa che anche la procura e le varie autorità vogliono tenere nascosto.
Nel 2003, durante la latitanza di Bernardo Provenzano si era parlato di una sua possibile permanenza in una clinica di Marsiglia in cui si sarebbe sottoposto anche ad un intervento chirurgico alla prostata sotto falso nome. E ad operare il boss sarebbe stato proprio Attilio Manca. Negli stessi giorni infatti, secondo quanto riferito dalla madre anche lui si trovava in Francia per seguire un intervento. La famiglia ha più volte chiesto l’accesso ai tabulati telefonici di quel periodo, ma la richiesta non è mai stata accettata. E soprattutto dopo l’intervento Provenzano aveva scelto Viterbo per curarsi nel periodo post operatorio.
Ciò che ha fatto insospettire e dubitare delle indagini della polizia e della procura di Viterbo, è stato soprattutto il modo in cui è stato ritrovato il cadavere. Attilio non era un tossico e soprattutto era mancino. Non avrebbe mai potuto inserire la siringa nel braccio sinistro, con estrema precisione. E poi anche le percosse, il setto nasale rotto e il labbro gonfio. Particolari questi, che sono stati omessi dai verbali sia della polizia che dall’autopsia stessa. L’unica impronta che è stata trovata è quella di una persona estranea, che tanto estranea alla famiglia non è: quella del cugino dei Attilio, Ugo Manca legato ad alcuni clan di Barcellona. Un dolore nel dolore per la famiglia, probabilmente tradita da un loro stesso familiare.
Negli ultimi tempi la famiglia si è affidata all’esperienza di un ex pubblico ministero ed ora avvocato Antonio Ingroia, che ha scoperto manomissioni e omissioni da parte della procura e del commissariato di Viterbo.
Il fratello di Attilio, Gianluca Manca, segue lo stesso autore Mirone nella presentazione del libro per gridare la sua verità anche qui a Lamezia Terme, in occasione del festival TRAME. “L’avvocato Ingroia, ha scoperto delle omissioni da parte della procura di Viterbo, che ha sempre sostenuto la tossicodipendenza di Attilio e in particolar modo da parte del commissario Salvatore Gava, che attualmente è agli arresti domiciliari per le vicende che riguardano il G8 di Genova. Tutto questo ha fatto si, che a dieci anni di distanza, non sia stato accertato il reato di stampo mafioso e ciò ne ha impedito lo spostamento alla procura di Palermo.”
Forse Attilio aveva visto in faccia Provenzano, forse aveva visto chi lo proteggeva ed era diventato una persona scomoda. Ma sono tutti dei forse, delle supposizioni, dei dubbi che molti cercano di insabbiare. Si nota dalle contraddizioni che sono nate, dalla lotta che la famiglia conduce da anni. L’autore non vuole risolvere un giallo, vuole semplicemente offrire dei fatti, lasciando spazio a molte ipotesi per mettere i tasselli al posto giusto. Un modo per accompagnare il lettore alla ricerca della verità.