di Umberto Santino
A margine della cerimonia per ricordare la strage del 3 settembre 1982, in cui sono stati uccisi il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, parlando con alcuni compagni e amici si rifletteva sul fatto che si è ormai sedimentata una sorta di classifica delle vittime di mafia, come nei campionati di calcio: ci sono vittime di serie A, di serie B e di serie minori. Molte non fanno neppure parte di queste classifiche, sono semplicemente dimenticate. Dalla Chiesa e gli altri caduti della strage di via Carini non sono certo dimenticati ma, a giudicare dal numero delle persone che partecipano al rito commemorativo, a parte le presenze istituzionali, non figurano in testa alla classifica.
Ricordo che, tra i compiti del Coordinamento antimafia, formatosi nel 1984 su proposta del Centro Impastato, c’era quello di ricordare i caduti nella lotta contro la mafia, con iniziative che andassero oltre la commemorazione. E per qualche anno siamo riusciti a praticare una memoria non discriminante e selettiva. La vicenda del Coordinamento, come del resto di altre esperienze di lavoro unitario, si è ben presto esaurita e negli ultimi anni si è assistito a manifestazioni con una grande partecipazione solo per alcuni, in particolare per Falcone e Borsellino. Il 21 marzo di ogni anno l’associazione Libera, formatasi nel 1995, celebra la giornata della memoria e dell’impegno, con la lettura del lungo elenco delle vittime delle mafie. Di molti di essi non si sa quasi nulla, sono soltanto dei nomi accompagnati da un data. E’ nata da ciò la proposta del Centro Impastato di fare l’Agenda dell’antimafia, per dare un volto ai quei nomi e raccontarne la storia. La proposta fu accolta dal Libera con favore, anzi con entusiasmo, ma fu un entusiasmo passeggero. Il Centro per alcuni anni ha pubblicato l’agenda, grazie all’editore Di Girolamo, dedicandola all’approfondimento di temi e terreni fondamentali nella lotta alla mafia, come la scuola e il ruolo delle donne. L’ultima agenda, pubblicata nel 2012, era dedicata alla satira, scelta non casuale, data l’importanza che ha la demistificazione del fenomeno mafioso, sulle tracce a suo tempo percorse da Peppino Impastato, con la sua Onda pazza, la trasmissione più seguita e più eversiva di Radio Aut. Il peso del lavoro sulle spalle di pochi, i costi abbastanza sostenuti, le difficoltà di trovare sponsor (il Centro è stato e continua a essere autofinanziato), i limiti della distribuzione al di fuori dei circuiti monopolizzati dai grandi editori, ci hanno indotto a cessare le pubblicazioni. Ma non si tratta soltanto di creare adeguati strumenti informativi. La memoria ha bisogno di infrastrutture, di spazi e di risorse, e su questa linea si muove il progetto del Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia, che pare avviato sulla strada della realizzazione. Ma luoghi che leghino insieme memoria e ricerca non dovrebbero nascere solo a Palermo, scenario dei grandi delitti di mafia, ma pure delle iniziative più significative dell’antimafia. Potrebbero e dovrebbero sorgere sull’intero territorio regionale e nazionale, popolandolo con una fitta rete di strutture che creino conoscenza ed elaborino progetti di possibile cambiamento. E dovrebbero avere un ruolo fondamentale le scuole e le università. Recentemente nel suo Manifesto dell’antimafia Nando Dalla Chiesa sottolineava il ruolo che dovrebbe avere la ricerca in un progetto di antimafia che non si limiti alle liturgie e non si esponga al rischio delle mitizzazioni. L’esempio che giunge dall’Università degli studi di Milano, con una serie di tesi di laurea sui vari contesti in cui si sviluppa il fenomeno mafioso e la formazione di una nuova leva di studiosi, finora non ha equivalenti in altre città. Anche a Palermo, che avrebbe dovuto aprire la strada, la ricerca è affidata a singoli studiosi, segue i percorsi dettati da scelte e interessi personali. Occorrerebbe un progetto complessivo, puntando a sinergie efficaci tra soggetti istituzionali e centri studio seriamente interessati a sviluppare la conoscenza di fenomeni ancora troppo spesso frequentati sulla base di stereotipi e di ritualità discriminatorie. Il progetto di ricerca “Mafia e società” del Centro Impastato, avviato negli anni ’80, si è potuto realizzare solo in parte, perché non ha trovato interlocutori all’interno delle istituzioni. Né sul piano scientifico, a eccezione di Giorgio Chinnici, né tanto meno su quello delle risorse, distribuite con criteri personalisti e clientelari che dissotterrano e risuscitano la famigerata tabella H, una delle vergogne della regione siciliana, l’epitome del suo modo di intendere la spesa pubblica: una pioggia su una selva di beneficiati. Attendiamo tempi migliori, ma siamo certi che non verranno se non ci sarà un impegno condiviso per archiviare pratiche dure a morire.
Editoriale apparaso su Repubblica Palermo il 3 settembre 2014