di Luca Bonzanni

11263953_912775435412517_6241217709949935472_nIl brano che non t’aspetti riecheggia nello spazio tra un intervento e l’altro. Giuliano Pisapia ha appena terminato il suo appassionato discorso e sta per cedere la parola a Nando dalla Chiesa. Nel mezzo, la tromba del maestro Raffaele Kohler dà vita a What a wonderful world, canzone resa immortale da Louis Armstrong. Già, «che mondo meraviglioso». In fondo, però, la sfumatura più significativa della giornata è proprio questa: non un ricordo triste o malinconico, ma la voglia di rendere omaggio a chi ha sacrificato la propria vita per un mondo migliore. Un mondo che, appunto, sarebbe davvero meraviglioso, senza la mafia.

Anche questo 23 maggio Milano si è fermata per ricordare la Strage di Capaci e le sue vittime, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Lo ha fatto con diverse iniziative (questa e questa), culminate infine nella commemorazione pomeridiana ai Giardini Falcone e Borsellino. Coordinata da Pietro De Luca in rappresentanza del Coordinamento delle scuole milanesi per la legalità e la cittadinanza attiva, la celebrazione è stata arricchita dalle letture di diversi brani sul tema, dall’antologia Era d’estate curata da Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi sino a Lo spasimo di Palermo, testo di Vincenzo Consolo, passando per Cose di Cosa nostra.

Giuliano Pisapia sceglie una citazione per esordire: «Vorrei richiamare una frase di Paolo Borsellino: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace, per poterlo cambiare”». «Ecco: parlare per conoscere, e far conoscere affinché ciascuno possa fare qualcosa», puntualizza il primo cittadino, collegandosi a un’altra frase importante, questa volta di Falcone, per poi proseguire: «Se non si ha memoria, non si può vincere. Per questo ognuno deve impegnarsi: bisogna andare nelle scuole, portare i bambini nei luoghi della memoria. Ed è importante ricordare anche Pio La Torre, un politico ucciso dalla mafia: solo negli ultimi anni sono stati centinaia gli amministratori vittime di minacce», ricorda il sindaco. È l’impegno quotidiano la chiave per vincere questa sfida immensa: «Se la riscossa parte dal territorio», conclude Pisapia, «allora la mafia può essere sconfitta. E poi, quando le battaglie si vincono, in quel momento arriva il sorriso».

Allora ecco che What a wonderful world non arriva a caso. Tocca quindi a Nando dalla Chiesa, professore della Statale e presidente onorario di Libera. È un ricordo appassionato e intenso, in cui la vicinanza al magistrato siciliano tradisce anche commozione e sentimento. «Parlare di Giovanni Falcone è estremamente difficile», confessa dalla Chiesa, perché «la sua è la storia più dura che ho visto nella lotta alla mafia. Oggi è celebrato come un simbolo, ma mentre era in vita non veniva considerato tale. Falcone nella sua città è stato battezzato per una decina d’anni come “un morto che cammina”, una vittima già certa della mafia. Persino i bambini scherzavano su questo».

foto di WikiMafia

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Isolato. Lasciato solo. Emarginato addirittura da alcuni magistrati e criticato da una parte del movimento antimafia. «Ha sfidato in solitudine la mafia, ma non solo», sottolinea il sociologo: «Ha dovuto combattere anche contro una parte della società e dei giornali. E Falcone sapeva di essere un morto che camminava». «Qual è stato il sostegno della società nazionale? Come è stato trattato durante l’esperienza di magistrato in prima linea?», si chiede dalla Chiesa. La risposta impone una riflessione su Milano, sul Nord, su silenzi che possono essere complicità: «Anche i giornali milanesi all’epoca lo attaccarono: per questo è importante che la nostra città s’interroghi sulle responsabilità diffuse. Sono quelle complicità innocenti con cui si costruiscono i destini. Ricordo una telefonata del 1991; gli chiesi: “Giovanni, come stai?”. Rispose: “Mi stanno seviziando”». Seviziare, sì, un termine fortissimo. Lo stavano facendo a pezzi. «Ma non lo stava seviziando la mafia», rimarca il presidente onorario di Libera: «Erano il potere, la stampa, i colleghi a infliggergli questo dolore. E lui ha resistito a tutto. Per questo noi dobbiamo moltissimo alla sua storia».

Ma Milano è anche un’altra, non è solo quella che dà le spalle al giudice più coraggioso. C’è la Milano che non vuole dimenticare, che si mobilita, che s’impegna quotidianamente. La Milano che anticipa le istituzioni. «Molti pensano che sia sempre andata così, con gli onori, le lodi, le celebrazioni. Non è vero. E Milano allora deve andare orgogliosa di questo luogo della memoria, frutto della volontà di scuole, associazioni, cittadini», sottolinea dalla Chiesa, richiamando la «genesi» dei Giardini Falcone e Borsellino e dell’omonimo albero, sorti grazie alla volontà della parte migliore della città, che «ha saputo andare più avanti dei suoi amministratori».

Tra una lettura e l’altra, dalla voce squillante dell’attore Marco Gambino a quella timida e tenera degli alunni di una scuola elementare milanese, le 17.58 si avvicinano. In quel preciso istante, come ogni anno la sirena dei pompieri risuona per un minuto. E come ogni anno, Milano non dimentica.

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