di Ombretta Ingrascì

Dicembre 2017. Il Prof. dalla chiesa mi comunica che ha individuato un giovane ricercatore che potrebbe affiancarmi nella ricerca commissionata a Cross dall’Osce sul ruolo delle mafie di matrice balcanica nel traffico di droga. La notizia mi rallegra, ma allo stesso tempo mi preoccupa. La ricerca è già avviata e io sto attraversando un momento difficile, perché mio marito entra ed esce dall’ospedale per un problema al seno mascellare. Preferirei lavorare da sola, temo di non trovare la forza e il tempo per dedicarmi a un ricercatore alle prime armi. Invece la fortuna è dalla mia parte. Perché quel giovane ricercatore è Gabriele Minì. 

Anticipa la sua telefonata con un sms. Si approccia a me con cortesia. E poi ci sentiamo al telefono. Sono al bar dell’ospedale stomatologico nell’attesa che mio marito esca dalla sala operatoria. Ho il computer acceso, cerco di lavorare, quando il telefono squilla. Racconto i dettagli. Perché è tra i loro meandri che si ritrova la rarità che incarnava Gabriele. Non ho molta voglia di rispondere, ma i tempi della ricerca sono stretti e richiedono che il nuovo ricercatore avvii la collaborazione al più presto. La voce mi colpisce. La delicata e arrotolata “r”, unita al soave e melodioso accento palermitano, mi incantano. E soprattutto a incantarmi è la sua gentilezza. Ripeterei questa parola all’infinito riferendomi a Gabriele, come suppongo farebbero tutti quelli che lo hanno conosciuto. Con naturalezza mi offre la sua disponibilità a incontrarci all’ora e nel luogo per me più congeniali.

Al primo incontro, nella mia stanza a Cross, mi porta un caffè. Con spontaneità. Mi racconta della sua scelta di avviare il dottorato e dell’aspirazione a diventare magistrato. Da poche parole ne deduco la serietà. E al contempo un’altra qualità preziosa per una buona collaborazione sul lavoro, l’ironia. E così la mia preoccupazione iniziale si dissolve.

Alle amiche di Cross esprimo la mia contentezza. Di aver incontrato un ragazzo gentile, serio e ironico, con cui condividerò un pezzo di ricerca. A ogni attività che gli propongo – da raccogliere e sistematizzare le notizie dell’Ansa e le informazioni contenute nei rapporti della DIA, a leggere pagine e pagine di ordinanze di custodia cautelare e sentenze – Gabriele esprime il suo entusiasmo.  A ogni correzione che gli sottopongo, durante la scrittura del rapporto di ricerca, risponde con altrettanto entusiasmo, riprendendo il lavoro e migliorandolo.

Gabriele produce pagine rigorose sulla legislazione antidroga e sulla questione dell’applicabilità dell’articolo 416bis alle cosiddette mafie straniere. Lavora sodo, più di me. Ha la fresca curiosità dell’animo del ricercatore nel periodo del dottorato. 

Le mail che mi scrive sono sempre garbate, cortesi e incisive. Va al sodo, non si dilunga. E a me piace lavorare così. Ci capiamo al volo. Tutto fila liscio con Gabriele. Una sensazione bellissima. La ricerca la finiamo prima degli altri partner del progetto. 

Solo un paio di mesi mi hanno unito a Gabriele. Ma sono stati sufficienti per aver raccolto e imparato tanto attraverso i suoi modi di porsi e relazionarsi con me, mentre discutevamo delle differenze tra gruppi di matrice serbo-montenegrina e gruppi provenienti dall’Albania, così come quando parlavamo della mia infanzia a Lipari e della sua città, Palermo, da me tanto amata. 

Mi terrò stretto il ricordo del suo sguardo ironico, dei suoi occhi brillanti, comunicativi e capaci di seguire il suo grande e accogliente sorriso, così come quello della sua serietà e competenza.

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