di Nando dalla Chiesa
Non so perché, ma mi sembra che inizino a essere troppi i grandi personaggi che muoiono. Dev’essere così. A un certo punto le società perdono in pochi mesi alcuni protagonisti preziosi della loro storia. Addirittura in un giorno se ne vanno Gigi Proietti e Bartolomeo Sorge. Che hanno tutti e due a che fare con i temi di cui si occupa questo sito. Proietti indirettamente: con il suo maresciallo Rocca contribuì non poco a diffondere a livello popolare una immagine vicina e positiva dei carabinieri. E questo negli anni in cui l’Italia fu costretta, davanti alle stragi, a fare appello a tutto il suo amore per le istituzioni non fu affatto irrilevante. Sorge diede invece un contributo diretto e fondamentale nella città più martoriata d’Europa, la Palermo degli anni ottanta. Il centro studi “Padre Arrupe”, i “gesuiti di Palermo”, specialmente lui ed Ennio Pintacuda, rappresentarono un’epoca da soli. Papa Woityla era sceso a Palermo nell’82, dopo gli omicidi La Torre e dalla Chiesa. Chissà chi lo consigliò. Fatto sta che di fronte alle emozioni disperate e a quel sangue non nominò nemmeno una volta la parola mafia; e per sovrammercato percorse la città con l’autista mafioso che gli avevano dato. I gesuiti, ancor più che il cardinale Pappalardo, costituirono in quegli anni la diga della fede. Corsi di formazione per il rinnovamento della politica, nuova evangelizzazione, parole di condanna e di speranza al tempo stesso. Ricordo il loro centro studi, meta di giornalisti e intellettuali e anche di giudici bisognosi di sostegno, protetto come un fortino.
Padre Sorge stava un passo indietro, perché proverbiale era la sua capacità di unire fermezza e prudenza, coraggio e quiete. Ricordo una conversazione che ebbi con lui nei tempi in cui non si capiva se il movimento antimafia ce l’avrebbe fatta; che cosa ne sarebbe stato, ad esempio, di quel movimento politico da loro incoraggiato, la “Città per l’Uomo” (che magnifico sapore di responsabilità civile hanno i numeri della rivista, che tengo ancora nella mia libreria…). Parlammo del tentativo che il primo sindaco antimafia di Palermo, il giovane Leoluca Orlando, stava facendo di spaccare la Democrazia Cristiana controllata da Salvo Lima. In quella conversazione, mentre si spegnevano le luci della fiaccolata, mi insegnò la virtù della pazienza. O almeno nessuno come lui me l’ha insegnata. Dall’altra parte qualcuno si spazientiva, invece. A partire dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga che contro di loro, per meglio dipingerli al popolo, evocò la predicazione feroce dei gesuiti nel Paraguay del Seicento. Certo la vita di Bartolomeo Sorge non può essere rinchiusa in quella esperienza straordinaria. Il suo è stato un vero magistero. Anche nei lunghi anni di San Fedele a Milano. Caratterizzato da una inusuale lucidità e libertà di analisi, a tutto campo, mai venuta meno con gli anni che sembravano viaggiare verso il secolo. Ma come egli seppe stare dentro gli anni del fuoco e del terrore è a mio avviso ciò che più gli va riconosciuto. Un pezzo di memoria che il movimento antimafia dovrebbe custodire.