di Arianna Zottarel
“Africo è un punto nel mondo, ma sono questi punti con cui i grandi governi del mondo sono costretti a fare i conti. Sono questi paesini che fanno la storia”.
Così Nando dalla Chiesa descrive il piccolo paese di Africo, in provincia di Reggio Calabria, durante l’incontro organizzato per Bookcity alla Fondazione Corriere della Sera. Con lui sono presenti l’autore del libro, Corrado Stajano e Antonella Tarpino, scrittrice e giornalista.
Africo è un libro uscito nel febbraio del 1979. E’ una denuncia, una descrizione attenta di un paese di ‘ndrangheta.
“Quello che dicevano quando è uscito il libro” – spiega Nando dalla Chiesa – “ossia occuparsi di cose che non esistono più, era in realtà il nostro futuro. C’erano i sequestri di persona al Nord, e rimaneva la convinzione di qualcosa di arcaico. Il terrorismo rimaneva l’emergenza di allora, ma in realtà il terrorismo è finito e la ‘ndrangheta è cresciuta”.
Si trattava di una ‘ndrangheta appena precedente al salto di qualità che l’avrebbe resa pochi anni dopo una delle organizzazioni più forti al mondo. “Quando è uscito il libro, nel ’79, ancora la ‘ndrangheta era un fenomeno molto giovane, anche come identità” – spiega dalla Chiesa.
Leggere ora Africo è quindi rivedere quella realtà, riscoprirne le radici, capirne il peso della denuncia.
Corrado Stajano ha dovuto affrontare un duro processo per ciò che aveva scritto; un processo da cui è uscito vincitore. “E’ stato un libro che è servito a difendere la libertà di tutti nel raccontare la mafia. […] E’ stata una scelta quella di denunciare quello che non poteva essere denunciato. Corrado Stajano sapeva quando ha scritto il libro che altri erano stati denunciati per aver osato raccontare e denunciare questo prete padrone di Africo, […] E’ entrato consapevolmente su un terreno difficilissimo”, con uno scrupolo in grado di garantire la credibilità e la veridicità di ciò che ha detto, così lo racconta Nando dalla Chiesa.
“Il processo fu molto pesante” – racconta Stajano – “è difficile dimostrare la mafia, mi veniva chiesto di fare i nomi delle persone che mi avevano parlato, ma loro rischiavano la vita. […] Sono riuscito a far venire al processo un magistrato che spiegò la ‘ndrangheta e aggravò la posizione di don Stilo che mi aveva querelato, un uomo molto potente. I giovani comunisti di Africo e della zona ionica appesero dei manifesti con scritto ‘per una volta la prepotenza non vince’ e per me fu una medaglia al valore”.
Il lavoro di Corrado Stajano, come ci ricorda Antonella Tarpino “E’ un lavoro guida, un testo classico. […] E’ un libro su un paese che non c’è. Africo vecchio è un paese abbandonato, difficilissimo arrivarci, un paese dolente, rimasto esattamente come era nel ’51 quando fu travolto dall’alluvione. […] Africo nuovo è un ammasso di case anonime. E’ un paese senza identità, un non-luogo. Un non luogo su cui Stajano costruisce quello che uno scrittore come Calvino avrebbe potuto definire un libro paese, un libro che dà forma ad un paese con la sua sola scrittura, in questo senso è un classico, costruisce un’architettura letteraria; e lo fa con testimonianze vere.
Sono storie che nascono ad Africo Vecchio, sulle pendici dell’Aspromonte. Ed è un paese che Corrado Stajano rinarra attraverso le parole di un altro personaggio, Umberto Zanotti Bianco, il grande meridionalista, che definisce Africo con queste parole: ‘un paese capace di incutere più paura della morte’. E Stajano spiega benissimo cosa può incutere una paura di questo tipo; questa sensazione di precarietà esistenziale totale, che descrive questo paese emblema della povertà del Sud. […] E’ un testo contemporaneo, i suoi echi continuano a riscontrarsi in quelle zone”.
Un eco molto importante, che deve continuare ad essere studiato, approfondito. Poiché è proprio la contemporaneità la caratteristica chiave di questo libro.
“La situazione ora si è aggravata perché le generazioni si specializzano sempre di più. Le capitali però rimangono sempre lì, in Calabria. Adesso c’è ignoranza, non conoscenza, sottovalutazione del fenomeno, soprattutto a livello politico” spiega Stajano.
La ‘ndrangheta è un problema italiano e mondiale. “Bisogna de-calabrizzare questa situazione” ci ricorda Antonella Tarpino. “Il problema è sociale e molto vasto” – riprende Stajano – “e voglio citare quello che dice Ilda Boccassini, capo della direzione distrettuale antimafia di Milano: ‘spesso si parla di infiltrazione della ‘ndrangheta nell’economia legale, e il termine fornisce un’idea di una penetrazione di qualcosa di negativo all’interno di un tessuto sano, una sorta di attacco dall’esterno nei confronti di una realtà che prova inutilmente a resistere. Va sfatata la pretesa purezza del destinatario dell’aggressione, che non è una vittima. La realtà che emerge dalle indagini è ben diversa e per evitare che il linguaggio crei una realtà inesistente è bene fare chiarezza’ […] Per capire perché è un problema così vasto”.
Questo perché, come ci spiega Nando dalla Chiesa, la ‘ndrangheta ha una “vocazione colonizzatrice: ‘ciò che è Calabria e ciò che lo diventerà’, così come si legge in una intercettazione. E hanno questa consapevolezza. Al loro popolo raccontano la volontà di riscatto della Calabria, conquistando altri paesi. Si tratta di uno Stato in marcia”.
Questo libro infine ci mostra l’importanza dell’osservatore, “un uomo di cultura, perché non si può raccontare se non c’è una cultura dietro. La militanza civile, la capacità di leggere la realtà, la capacità di sorvegliare la lingua. Giornalista e scrittore allo stesso tempo”, come lo descrive dalla Chiesa. Rimane quindi una priorità: armarsi di conoscenza, per evitare quelle sviste che troppo spesso riscontriamo nei giornali e nella conoscenza stereotipata dei cittadini. Andare a rispolverare i classici della lettura antimafia, come Franchetti, Colajanni, Mosca, Dolci, Stajano, sono i primi passi per creare forti infrastrutture per la comprensione del fenomeno.