ALAS in spagnolo significa ali. È anche l’acronimo di América Latina Alternativa Social, la rete transnazionale promossa da Libera e formata da oltre 50 organizzazioni sociali, associazioni, collettivi e movimenti di 11 paesi latinoamericani (Colombia, Ecuador, Messico, Brasile, Argentina, Guatemala, Honduras, Nicaragua, El Salvador, Bolivia, Perù). La rete, formalizzata ufficialmente durante la prima assemblea a Città del Messico nel maggio 2015, ha il preciso scopo di costruire un network virtuoso di antimafia sociale che possa lavorare trasversalmente su svariati e delicatissimi temi. Il lavoro compiuto a Città del Messico, sancito da una dichiarazione comune e articolatosi attraverso la costituzione di 7 tavoli di lavoro, ha prodotto i suoi primi risultati tangibili nella creazione di 18 progetti in volo nell’ambito della prevenzione sociale e dell’educazione, dell’uguaglianza di genere, dei diritti umani e dei crimini di lesa umanità, dell’antimafia sociale, della corruzione, del giornalismo investigativo, della libertà di espressione e della memoria.

I lavori della seconda assemblea, svoltasi tra l’11 e il 18 dicembre 2017, hanno avuto luogo nella stupenda cornice dell’Hotel Campestre Mirador De San Nicolas situato nelle vicinanze di Ubaque, una piccola cittadina incastonata tra i monti del Dipartimento di Cundinamarca, a circa 60 chilometri da Bogotá. La scelta di portare la seconda riunione di ALAS in Colombia non è casuale. Il paese, nonostante sia in vigore già da un anno l’accordo di pace tra il governo e i guerriglieri delle FARC, è attraversato da una continua e imperturbabile spirale di violenza e corruzione. Gruppi paramilitari, grandi e piccoli cartelli della droga, microcriminalità, scandali legati alla corruzione politica e imprenditoriale lasciano impantanata una Colombia bisognosa di una pace effettiva. Proprio Hasta la Paz è lo slogan che accompagna i lavori di ALAS nel paese sudamericano.

L’assemblea si è sviluppata in tre parti: una parte iniziale di presentazione del contesto sociopolitico, economico, umanitario e criminale di ogni paese; una seconda di descrizione dei progetti realizzati dalla rete e una finale di definizione strategica degli obiettivi e degli strumenti ideali per raggiungerli. L’analisi dello scenario latinoamericano compiuta ha messo in luce la presenza di conflitti di ogni genere: dalle lotte per l’acqua e la terra alle proteste sociali represse nel sangue da governi autoritari e spesso corrotti fino al midollo; dalle lotte tra i gruppi di narcotrafficanti alle guerre per l’accaparramento delle risorse energetiche.

L’America Latina non si configura solo un continente in perenne conflitto. È anche un crogiolo di culture e popolazioni che producono una perenne resistenza. Le associazioni, le organizzazioni sociali e i movimenti si presentano all’assemblea fieri delle loro lotte e del loro lavoro. Raccontano i loro sforzi nei quartieri più difficili per portare energie e voglia di cambiamento. Parlano dei loro figli scomparsi che non smettono di cercare, dal Rio Bravo in Messico alla Terra del Fuoco in Argentina. Descrivono la fatica di riuscire a fare un’informazione libera sulle vicende di corruzione e criminalità organizzata. Queste realtà non solo lottano incessantemente per le loro cause ma producono anche progetti sociali di enorme impatto e importanti lavori di ricerca e inchiesta. Proprio gli sforzi in quest’ultimo senso hanno portato all’elaborazione di un documento che compara, in merito al tema dei beni confiscati, la situazione di Italia, Messico, Guatemala, Colombia, Bolivia e Argentina. La presenza di Davide Pati, della presidenza di Libera e responsabile del settore Beni Confiscati, ha dato un valore aggiunto al dibattito evidenziando l’importanza del riutilizzo sociale di tali beni. L’esperienza italiana è dunque servita come stella polare per orientare le future proposte della rete a riguardo. Diversi paesi latinoamericani detengono leggi in merito ai beni confiscati ma non ne prevedono il loro riutilizzo a fini sociali. Chi dovrebbe gestirli dopo la confisca si spartisce gli introiti della vendita oppure una volta fatto proprio il bene non riesce a mantenerlo e dunque si deteriora fino a morire. Si parla di centinaia di migliaia di beni mobili e immobili appartenenti a criminali e narcotrafficanti.

Dalle problematiche contestuali e dalle esperienze già prodotte l’assemblea è arrivata a delineare le linee strategiche di lavoro attraverso svariate proposte in riferimento a quattro aree: formazione; incidencia politica (advocacy); comunicazione e visibilità; organizzazione e coinvolgimento. Si tratta di proposte ambiziose ma fattibili che spaziano dalla promozione di leggi sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, alla costituzione di una scuola antimafia per i giovani, dalla creazione di corsi di formazione per implementare le capacità progettuali allo sviluppo di un mercato virtuale per vendere i prodotti delle diverse realtà sociali appartenenti ad ALAS.

Insomma, la società civile latinoamericana è in fermento e capace di azioni concrete ed efficaci. In un continente violento e militarizzato, guidato frequentemente da poteri corrotti e criminali, le esperienze di resistenza e resilienza del network ALAS possono costituire un punto di partenza per ricostruire (o costruire ex novo) il tessuto sociale di alcuni pezzi di America Latina. E pezzo dopo pezzo, con il sacrificio e il lavoro costante, il puzzle prima o poi potrebbe completarsi.


Related Post